“L’ipocrisia è un vizio alla moda e tutti i vizi alla moda sono considerati virtù”. La filosofia di vita del Don Giovanni di Molière si condensa nel cinismo della finzione volta al proprio piacere e il suo edonismo senza scrupoli è ambientato, nella lettura del Cerchio di Gesso, negli anni ’80 dell’eccesso e dell’ostentazione.
Don Giovanni è interpretato da Elisa Ariano, in perfetto stile David Bowie, passando per la mediazione di Lady Gaga, e la sua apparizione da rock star, sulla colonna sonora dei Depeche Mode, è annunciata con enfasi da presentatore da uno Sganarello con cresta di capelli azzurri da punk (Vincenzo di Federico). Il parallelismo tra l'archetipo del vizio e i dettami della moda degli anni '80 continua con citazioni di rock star dell’epoca, tra cui una Carlotta/Madonna e una Maturina/Grace Jones.
La regia di Girolamo Lucania mantiene i passi fondamentali della tragicommedia che vedono i dialoghi tra Don Giovanni e il servitore e le apparizioni di donna Elvira. Quest’ultima si presenta nelle versioni ardite di piratessa prima e suora sexy poi, ma la sua recitazione, pur modificata nella gestualità, non tradisce lo spirito originario del testo, che la vede prima delusa e disperata per l’abbandono, poi redenta e generosa nel tentativo di salvare l’anima del suo seduttore.
La combinazione della superficialità di un decennio, caratterizzato dall’inseguimento dell’immagine e della moda a discapito della sostanza, con l’archetipo del Don Giovanni, per antonomasia uomo menzognero e privo di morale, funziona grazie alla versatilità degli interpreti che ritrovano, nonostante le divagazioni musicali e coreografiche, il filo sotteso dell’opera originale.
Il ritmo si perde quando le caratterizzazioni prendono il sopravvento sulla vicenda, cadendo in satira e sostituendo parti della narrazione con balletti o pura comicità.
Nella seconda parte dello spettacolo si ritrova il mordente iniziale che ha il suo apice nella rivelazione dell’amoralità totale del protagonista, che elogia il vantaggio dell’ipocrisia eletta a suo stile di vita.
La versione della fosca tragicommedia è coraggiosa perché eccessiva in tutto e sempre sull’orlo dell’esagerazione di ciò che, pur autodenunciandosi in quanto kitsch, rischia di essere ridondante.
Il risultato è divertente e la recitazione degli interpreti è buona. Particolarmente riuscito il personaggio androgino del protagonista, del quale viene accentuata la natura sensuale e anaffettiva, da icona pubblicitaria senza anima.
Il tragico finale da copione, con Don Giovanni inghiottito dalle viscere della terra da una giustizia divina che lo punisce, sembra, in questa folle versione del testo, concludere un periodo (appunto il decennio degli anni ’80) di apparente ricchezza ostentata e di voluttà e piacere ad ogni costo.
Notevole la sensazione di opulenza dello spettacolo generata unicamente dai costumi, tanto spettacolari da non richiedere alcuna aggiunta scenografica al di fuori di qualche cubo bianco simile alle pedane da discoteca, tempio della discomusic, vero fil rouge musicale di tutta la commedia.