Lirica
DON GIOVANNI

«Ingannare le donne è sempre stato il mio costume»

«Ingannare le donne è sempre stato il mio costume»

«Aleggia sempre una qualche morbosa eccitazione nello scoprire come sarà il nuovo Don Giovanni di turno: se il pettorale sarà sufficientemente scolpito, se saprà prodursi in fughe vorticose e balzi prodigiosi … se saprà rivelare un'indole sexy, spietata, melliflua, perversa, debordante, animalesca, amorale...Ognuno di noi conserva gelosamente uno stereotipo affettivo del libertino e del suo mito» scrive Lorenzo Regazzo nelle sue note di regia, marcando le  tante sfaccettature possibili dell'immortale personaggio. Ed in effetti, questo suo secondo Don Giovanni messo in scena al Comunale di Treviso non potrebbe essere più diverso da quello sempre da lui presentato appena a luglio scorso nell'ambito delle Settimane Musicali di Vicenza. Quello attualissimo, nevrotico, palestrato, una figura da rotocalco, dedito a tutti gli eccessi dei nostri tempi. Questo invece, più 'classico', più elegante, istrionico ed eroticamente vorace sì, ma pur sempre finemente seduttivo. Un Grande di Spagna che mantiene la propria nobiltà di nascita, anche se rivela nello smanioso accumulo di conquiste – Leporello è continuamente interrogato sul numero esatto, città per città, delle femmine sedotte – una voracità erotica compulsiva e senza sbocchi sentimentali. Conquistatore di corpi, ma anche di anime innocenti, ipnotizzate dalla sua spietata carnalità: il “non picciol libro” rilegato in rosso marocchino, nel quale vengono subito freneticamente annotati i suoi successi, diviene qui via via sempre più grande, sino a divenire un pesantissimo fardello da trascinare con sé agli Inferi, schiacciato nello stesso tempo da uno eguale, ma dalle dimensioni mostruose. Anche se, a dire il vero, un libriccino del genere però più modesto lo compila anche il pavido servitore (neanche lui dunque proprio uno stinco di santo). Ci casca pure qualcun altro dei personaggio, come Don Ottavio, infervorato compagno di duelli a fioretto con Don Giovanni, che ne tiene in tasca uno simile. Dunque, a chi spetterebbe di scagliare la prima pietra, se tutti (o quasi) hanno comunque un loro fondo di malvagità?
E' uno spettacolo dai tratti alquanto tradizionali quello propostoci dal cantante/regista veneziano, e chiaramente ispirato alla Commedia dell'Arte come qualche battuta in dialetto sta a svelare; convincente per il ritmo spedito e per felici intuizioni narrative, e che ha il grande merito di mettere a proprio agio un cast costituito in massima parte dai vincitori del Toti Dal Monte 2015, e dunque da interpreti ancora poco o nulla adusi a calcare le scene. Otto i ruoli in concorso, cinque quelli vinti; per i tre non assegnati sono stati scritturati interpreti già in carriera, ma comunque dell'ultima generazione: il Don Giovanni del basso Luca Dall'Amico è saldamente piantato nei recitativi, ben innervato nel personaggio, vocalmente sempre espressivo e quindi indiscutibilmente persuasivo considerato nel suo insieme; il tenore Davide Giusti non ha un vero stile, quindi appare monolitico nell'espressione e nel fraseggio, si salva solo per un «Il mio tesoro intanto» discretamente cesellato; il basso Federico Benetti canterebbe di per sé bene, ma non è ancora in possesso della caratura necessaria per la parte senile del Commendatore. Passando ai vincitori, quella del ventunenne baritono Lorenzo Grante è stata sicuramente la scelta più indovinata. Naturalmente disinvolto in scena, vocalmente già di molto maturo, a nostro avviso è il migliore di tutti, fatta la tara per qualche cosa da mettere a fuoco; per questo profetiamo per lui – salvo sbandamenti - una meritevole carriera. Anche il Masetto di Roberto Maietta si è rivelto piacevolmente intonato ed espressivo scenicamente, sebbene nell'ambito di una personalità ancora in progress. Qualche delusione è venuta ahimé dai ruoli femminili: se la Donn'Anna di Valentina Varriale appare ben costruita psicologicamente e vocalmente pressoché ineccepibile, ed apprezzabile per la corposità e la lucentezza del registro medio-superiore, Gioia Crepaldi ci pare far di tutto per affossare la sua Donna Elvira, tratteggiata con eccessiva foga, squilibri negli acuti (e qualche perdita d'intonazione). Quanto a Letizia Quinn, ha consegnato una Zerlina alquanto scipita, con scarsità di colori e qualche incertezza tecnica.

La direzione di Francesco Ommassini, sul podio di un'orchestra – la Filarmonia Veneta – mostratasi precisa, ben calibrata e duttile, ha cercato di stimolare l'impegno dei cantanti con tempi agevoli ed equilibrati. Nel contempo, il giovane maestro veneziano ha saputo incedere con convinta lucidità, senza sacrificare né l'attenzione ai dettagli strumentali ed alle combinazioni timbriche, né l'elaborazione di una visione lineare, raffinata e compatta della partitura mozartiana. Bene il Coro Iris Ensamble diretto da Marina Malavasi; al clavicembalo, Gianni Cappelletto. 
Le scene ed i costumi di Eugenio Monti Colla appaiono ispirate direttamente alle rappresentazioni d'epoca: le prime assai stilizzate, basate come un tempo su quinte agilmente amovibili, con in mezzo delle arcate ed a lato due gradinate a dare profondità; i secondi dal disegno prettamente seicentesco, per immergere la storia del Burlador de Sevilla in un'ambientazione dai tratti fiabeschi. Un po' come se, invece che di fronte alla commedia di Tirso de Molina fonte primaria di Da Ponte e di Mozart, ci trovassimo a scorrere le pagine di un racconto di Perrault. Coreografie di Andrea Bassi, disegno Luci di Roberto Gritti. 
Alla prima, buon successo di pubblico per tutti, con qualche contestazione alla regia.

(foto di Foto Attualità)
 

Visto il 09-10-2015
al Comunale Mario del Monaco di Treviso (TV)