Un “grigio” Don Giovanni all’Opera di Roma

Don Giovanni
Don Giovanni © Yasuko Kageyama

Don Giovanni e Leporello, sono quasi indistinguibili tra loro in questa lettura del Don Giovanni di Graham Vick del terzo episodio della trilogia Mozart/Da Ponte.

Don Giovanni e Leporello, sono quasi indistinguibili tra loro in questa lettura del Don Giovanni di Graham Vick del terzo episodio della trilogia Mozart/Da Ponte. Sono entrambi vestiti di grigio, abiti moderni, ovvi, banali, da impiegati del catasto.

La differenza di classe sociale, ben evidenziata da Mozart e Da Ponte, quasi scompare al punto da rendere superfluo e ridicolo lo scambio di abiti del secondo atto e fuorviante la partecipazione alla cena di Leporello, trattato alla pari dal suo padrone.

Altre trovate della regia poco apprezzate dal pubblico sono gli abiti dimessi delle due protagoniste, Donna Anna in uno sformato pigiama con tanto di pantofole, mentre Donna Elvira è vestita da suora, forse anticipando la sua volontà di ritirarsi dal mondo dopo le delusioni amorose inflittele dal libertino.

La scena è quasi inesistente, solo un albero spoglio usato talvolta come appendiabiti e un pavimento mobile che sottolinea i cambi di ambientazione. La festa dei contadini alla fine del primo atto assume connotati decisamente orgiastici, con scene di violenza gratuita e confusa.

Provocazioni gratuite

Nel secondo atto le provocazioni della lettura di Vick prevalgono sulla narrazione e distraggono l’attenzione. Un enorme braccio come quello del Creatore michelangiolesco occupa la scena, ma Don Giovanni staccherà il dito indicatore per ribadire la sua blasfemia, nella scena del cimitero l’immagine del Commendatore sarà quella dell’Uomo della Sindone.

Contrariamente alla tradizione alla fine sembra che il libertino riesca a cavarsela e, uscito dall’antro mortale in cui l’aveva trascinato il Commendatore, si arrampicherà atleticamente sull’albero spoglio ad indicare la vittoria del male sul bene, mentre il bellissimo sestetto finale, superbamente eseguito, sarà contrappuntato da scene incomprensibili quali le effusioni saffiche tra le protagoniste e l’oscena esposizione di un gigantesco membro posticcio da parte di Masetto.

La musica riscatta la serata

Fortunatamente la parte musicale è andata meglio, la direzione del giovane Jéremie Rhoer è efficace soprattutto nelle parti in cui l’Orchestra del Teatro dell’Opera suona da sola, suono luminoso, lettura protoromantica. Forse qualche incertezza nell’accompagnamento dei cantanti, ma comunque una esecuzione di alto livello.

La serata del 2 ottobre ha visto sulla scena il secondo cast con Riccardo Fassi nel ruolo del protagonista misurato nel canto e efficace seduttore sul piano attoriale, bene accompagnato dal fido Leporello di Guido Loconsolo. Donna Elvira è la giovane soprano Gioia Crepaldi, interessante voce nervosa, particolarmente adatta al tormentato personaggio, mentre Donna Anna è una appassionata Valentina Varriale, uno dei prodotti del progetto “Fabrica” Young Artist Program, ormai beniamina del pubblico romano. Brillante ed efficace il Don Ottavio di Anicio Zorzi Giustiniani, con qualche incertezza nelle agilità. Rafaela Albuquerque è una Zerlina turbata e maliziosa, luminosa nel “là ci darem la mano…” mentre Masetto è interpretato autorevolmente dal baritono ucraino Andrii Ganchuk, anche lui proveniente dal progetto “Fabrica”.

Grazie anche ai movimenti coreografici di Ron Howell ed ai bei costumi di Anna Bonomelli tutta la compagnia riesce ad attenuare lo sconcerto provocato da alcune trovate della regìa e tutti hanno trovato lo spazio espressivo consono alle loro doti attoriali. Il Coro del Teatro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani è al solito un protagonista su cui contare.

Gli applausi finali alla compagnia di canto, all’orchestra ed al Direttore, hanno attenuato i dissensi anche rumorosi che sono stati riservati alle scelte della discutibile regia.