Venerdì 7 dicembre allo spazio Bixio di Vicenza è andato in scena un monologo intenso e particolare, Dove abito io, scritto e diretto da Giacomo Fanfani ed interpretato da Rafael Porras Montero.
La scena rappresenta una lavanderia a gettoni, bianca, asettica, con tre oblò di lavatrici sullo sfondo. Il protagonista interpreta un monologo intriso di ricordi e sentimenti contrastanti che parlano della sua vita prima e dopo la partenza dal suo paese natale.
Stranieri si diventa, non si nasce, e nella solitudine di una lavanderia automatica si può trovare una mezz’ora di pace lontano da una socialità che non ti appartiene.
Dalle borse sgualcite escono ricordi d’infanzia: un cumulo di abiti che trasudano persone e vicende della vita passata nel paese d’origine. Dal bianco delle magliette scaturisce l’immagine di una gita in un macello dove, da piccolo, il protagonista ricorda di essere stato portato in gita. Per diventare grande, gli dicevano, è necessario per un bambino vedere un agnello sgozzato, affinché non si creasse fin da subito troppe illusioni sul futuro. E così il bianco immacolato dell’agnello divenne presto macchiato di sangue, rosso indelebile. E ancora altri ricordi si accumulano e si mescolano tra i colori e gli odori. L’odore di pesca, ad esempio, frutto tipico del paese in cui è emigrato, gli restituisce vivida l’emozione di un giorno, di una sorpresa inaspettata.
Storie di amori perduti, lunghe partenze e fugaci ritorni, l’orgoglio di una madre che vede il figlio tentare una vita migliore altrove perché “vince solo chi se ne va”.
Una volta giunti a destinazione, però, si viene subito identificati come stranieri: il “non essere di qui” caratterizza le persone e le rende diverse agli occhi di “chi è di qui”. Così, per integrarsi nella nuova società, sembra necessario dover per forza lavare i propri vestiti colorati e cambiarsi d’abito, compiendo un percorso di ‘purificazione’ verso il bianco, colore acromatico che, in sé, contiene però la somma di tutti i colori come ad indicare una uguaglianza che contraddistingue indistintamente ogni essere umano a prescindere dalla nazionalità o dal colore della pelle.
Ognuno di noi porta con sé il proprio bagaglio di vestiti sporchi da lavare e, in una sera qualunque, in una qualsiasi lavanderia a gettoni di una qualunque città del mondo potrebbe ritrovarsi da solo a parlare con dei vestiti colorati, a piangere e a ridere, a ricordarsi dell’ultimo amore, a urlare forse, senza che nessuno se ne accorga.
Dove abito io è uno spettacolo pulito per quanto riguarda la regia funzionale alla drammaturgia lineare ed emozionale, come fosse un flusso misto d’immagini, colori e odori. La recitazione riesce a coinvolgere e trasportare lo spettatore nella storia che racconta.