Lirica
EDGAR

Torino, teatro Regio, “Edgar”…

Torino, teatro Regio, “Edgar”…
Torino, teatro Regio, “Edgar” di Giacomo Puccini I DOLORI DEL GIOVANE PUCCINI Nell'anno pucciniano il Regio di Torino si distingue per la proposta di “Edgar”, secondo titolo nel catalogo del compositore, ma (ed è qui la novità clamorosa) nella prima esecuzione in tempi moderni della versione originale in quattro atti, ricostruito dall'americana Linda B. Fairtile con la supervisione di Gabriele Dotto e Claudio Toscani da documenti scoperti l'anno scorso presso la nipote del compositore, Simonetta. Peraltro la partitura non corrisponde a quella della prima alla Scala nel 1889, poiché Puccini riscrisse la parte di Tigrana per un soprano, in quanto il mezzo, per cui era stata originariamente concepita, si era ammalato. Puccini non fu evidentemente soddisfatto della scrittura poiché sottopose la partitura a due rifacimenti, nel 1892 nel 1905, e le rare volte che si ascolta è sempre la versione in tre atti, come sarà a Torre del Lago in agosto. Oltre al libretto, ai limiti del ridicolo, colpisce la disomogeneità tra i primi tre atti e il quarto, al punto che è impensabile che la stessa mano, che ha disseminato tre atti di temi e motivi di derivazione importante (Wagner tra gli altri) e che ha già in nuce anticipazioni delle grandi composizioni successive, scriva un finale debole dal punto di vista drammaturgico e musicale. Secondo qualcuno Puccini fu influenzato da Carmen per quanto riguarda i ruoli femminili, ma sappiamo che il compositore era sensibile al fascino femminile e riesce facile immaginarlo diviso tra l'angelica (bionda) Fidelia e la carnale (mora) Tigrana: in Edgar troviamo affinità con Puccini e qui si immagina come un sosia del lucchese, giovane e tormentato. La regia di Lorenzo Mariani è particolarmente fedele al libretto e al plot, anche se, al medioevo nelle Fiandre, preferisce l'epoca contemporanea a Puccini con un sapore tra liberty ed impressionismo con tanto di tricolore sabaudo (in fondo siamo a Torino). Mariani ha un approccio tradizionale, calca sui gesti che esprimono gli stati d'animo in modo immediato. All'interno di una diruta cattedrale gotica, i cui pilastri a fascio inclinati di colore ardesia (o ghisa) rimandano anche all'archeologia industriale, i personaggi si muovono sopra un prato verde, lo sfondo è di pura luce oltre il mandorlo dai bianchi fiori. L'immagine iniziale è chiaramente ispirata alla “Colazione sull'erba” di Manet; nel dipinto la donna-elemento estraneo al contesto è nuda, qui invece è la zingara, vestita di rosso mentre tutti gli altri sono nei toni del bianco e del beige (scene e costumi di Maurizio Balò, luci Christian Pinaud). Motivo ispiratore è quello dei dipinti degli impressionisti. Il secondo atto, ad esempio, con i divani rossi e l'atmosfera da cafè-chantant, richiama certi Toulouse-Lautrec. E le fanciulle del quarto sembrano uscite da un preraffaellita oppure dalle processioni di Previati, che ai funerali di una vergine incolonnava figure biancovestite. Convincono meno i bersaglieri e il finale del secondo atto, con l'incendio che si propaga illuminando di rosso le quinte e tutti che si sventolano, svenendo per il caldo. Come anche il terzo atto con un pulpito e un catafalco e soprattutto quel saliscendi di Edgar e Tigrana dall'uno e dall'altro. Tigrana poi finirà l'atto in piedi sopra il catafalco, scagliando dentro la bara i gioielli con un sonoro “tonc”. Yoram David guida l'orchestra del Regio con padronanza e cura l'esecuzione in modo appropriato, privilegiando toni cupi per l'inizio e sottolineando gli spunti che il compositore svilupperà in seguito. Risponde bene il coro del Regio, preparato da Claudio Marino Moretti, mentre Claudio Fenoglio si è occupato delle voci bianche. Josè Cura ha buona presenza scenica, accentuata da una notevole somiglianza con Puccini (che fu profondamente uomo del suo tempo), voce importante ma la prestazione è disomogenea. Il personaggio Edgar è naturalmente antipatico ed anche godereccio (nella scena iniziale ha una bottiglia vuota in mano e sta smaltendo i postumi di una sbronza) e ciò non aiuta il tenore, che aveva convinto di più pochi giorni fa nel Samson di Bologna. Amarilli Nizza è l'angelicata Fidelia, sciapo e noioso il personaggio, che però è nelle corde della cantante, seppure con alcune forzature soprattutto nel registro alto (da segnalare che, per l'indisponibilità del soprano del secondo cast, la Nizza ha affrontato per tre sere consecutive l'impegnativa parte). Julia Gertseva è la demoniaca Tigrana, che entra in scena mangiando una mela, la peccatrice che induce in tentazione anche solo con la presenza fisica. Interessante il proporla come la “diversa” in una società chiusa e intollerante, quando il coro le dà, volutamente e vistosamente, le spalle. Un poco legnosa nella recitazione (ma non lo era in Carmen al Maggio e Dalila al Comunale di Bologna), voce robusta e vigorosa ma tende a cantare un po' tutto uguale. Marco Vratogna è il migliore, voce scura ammantata di riflessi, spessa e duttile nell'emissione salda e sicura. Adeguato il Gualtiero di Carlo Cigni. Qualche posto vuoto in platea fin dall'inizio, aumentato intervallo dopo intervallo. Pubblico plaudente e soddisfatto. Visto a Torino, teatro Regio, il 27 giugno 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)