Danza
EINSTEIN ON THE BEACH

TRASPORTATI DAL SOGNO NELLA SPIAGGIA CHE NON C'E'

TRASPORTATI DAL SOGNO NELLA SPIAGGIA CHE NON C'E'

“Einstein on the beach “, frutto della  collaborazione di Philip Glass con Robert Wilson e rappresentata per la prima volta nel 1976, è una creazione che ha segnato un’epoca e ora, trentasei anni dopo, viene riproposta in una tournée mondiale di poche date che genera forti aspettative e curiosità.
La lunga opera  (quasi cinque ore senza intervalli, ma il pubblico può uscire e rientrare liberamente) è articolata in nove scene: un treno, un tribunale, un campo/astronave, che costituiscono le immagini fondamentali che si ripetono con variazioni collegate da elementi di giuntura definiti “kneeplays”.
Le scene vengono ripetute e variate con angolazioni e profondità di campo diverse e le sequenze si succedono senza una connessione logica procedendo per associazioni figurative e metaforiche.
Non c’è una storia e la figura di Einstein, riconoscibile nel violinista che suona in primo piano davanti al palcoscenico e nell’abbigliamento dei performers, costituisce solo uno spunto in quanto lo spettatore è libero di dare forma alle proprie associazioni  partendo da  riferimenti visivi più o meno intellegibili. Orologi che vanno all’indietro, bussole, treni e astronavi indicano un viaggio nel tempo e nello spazio con accenni alle temibili conseguenze del potere scientifico e all’olocausto nucleare (a cui peraltro si riferisce il titolo derivato da un romanzo apocalittico dell’epoca “On the beach” dell’australiano Nevil Shute).
L’opera  alterna testi recitati visionari e frammentari (scritti da Lucinda Childs e Samuel Johnson, ma soprattutto da Christopher Knowles ragazzo autistico che collaborò a lungo con Wilson ) a parti corali costituite da infiniti solfeggi di note e numeri. La musica eseguita da un piccolo ensemble è un esempio di minimalismo rigoroso basato sulla ripetizione ciclica di un materiale di base che subisce trasformazioni grazie a meccanismi additivi o riduttivi in un lento divenire. Una chiarezza matematica che nella ripetizione, nell’uso del contrappunto e a tratti della fuga, assume valenza liturgica e potere incantatorio .

Nella prima scena un treno avanza lentamente e una ballerina  cammina avanti e indietro con il braccio teso disegnando una diagonale perfetta sulla scena per venti minuti. La musica di Glass si arricchisce di nuovi elementi e anche a livello visivo aumentano i dettagli: l’uomo di schiena dalla giacca rossa che schizza formule nel vuoto, performers che attraversano la scena con un passo che ricorda il movimento di una ruota, un bambino che lascia cadere aeroplani di carta dall’alto, il tutto davanti a uno sfondo azzurrino dove il continuo (e quasi impercettibile) variare della luminosità cattura la nostra attenzione come fosse un quadro di siderale bellezza.
Nella lunga scena del tribunale si avverte qualche calo di tensione, ma introduce una delle immagini dove riconosciamo il genio di Wilson nello scolpire con la luce:  il letto illuminato visto di costa perde una dimensione diventando una barra luminosa orizzontale che ruotando impercettibilmente assume assetto verticale generando un varco luminoso nel buio.
Una delle immagini più celebri è quella dell’astronave, dove in una sorta di quadrato svedese si muovono nelle celle danzatori e suonatori  dalla gestualità meccanica e le luci della griglia si accendono con un crescendo che prelude a una sorta di esplosione, dapprima linee spezzate, poi diagonali e parallele, fino alle  girandole impazzite di un olocausto atomico, mentre due figure emergono come da una bolla fra il fumo e sul velo di proscenio appare l’equazione di Einstein. Se pur possa essere considerata la scena clou (e la musica esplosiva di straordinaria ricchezza con tanto di sax tenore sembrerebbe segnalare il gran finale), l’epilogo è affidato al  pacato racconto di un guidatore d’autobus che riporta le parole d’amore di una coppia nella notte, un’immagine di pace e speranza che chiude l’opera  con commovente dolcezza.

Ciò che colpisce dello spettacolo è l’assoluta coerenza fra componente visiva e musicale e la precisione millimetrica con cui  le lunghissime sequenze gestuali,coreografiche, vocali e musicali vengono ripetute e variate per cinque ore. Alla base dello spettacolo c’è uno sforzo e una capacità di concentrazione immane da parte di tutti gli artisti (il minimo errore può essere fatale in quanto fa sballare tutto)  e  può sembrare paradossale che lo sforzo mnemonico richiesto sia finalizzato ad esprimere  un “non senso”  perfettamente definito, ma privo di contenuto, e quindi massima espressione del relativo, ma per Wilson la forma è il contenuto.

Gli interpreti, guidati dal team creativo originale  (Bob Wilson, Lucinda Childs per le coreografie, Michael Riesman alla direzione musicale), sono tutti giovani e  bravissimi. Nei ruoli principali ricordiamo l’ Einstein violinista dalla incredibile musicalità e tenuta di Antoine Silvermann,il ragazzo di Jasper Newell, il dolente Mr. Johnson di Charles Williams, le performers Helga Davis e Kate Moran dai volti impassibili e glaciali ed i ballerini della Lucinda Childs Dance Company che traducono con ineffabile grazia e matematica precisione l’idea di una formula perfetta.
Straordinaria la precisione musicale del Philip Glass Ensemble, del suono di Kurt Munkasci e del coro sottoposto a pagine di estrema difficoltà e virtuosismo (come nel lungo numero di solfeggi a cappella che lascia senza fiato).

Lo spettacolo, che costituisce un’autentica esperienza per chi vi assiste e che trasporta in un’altra dimensione, è ancora attualissimo, certe soluzioni (per esempio il reticolo luminoso con dentro le figure) potrebbero essere immagini della “Fura” ed il modo con cui Wilson compone e scompone la scena per addizione e sottrazione di elementi e luce è un esempio di teatro totale che lo pone fuori dal tempo. Inoltre la sua magia ipnotica conquista progressivamente lo spettatore che preferisce rimanere in sala per non perdersi nulla e cogliere quella variazione che infrange il ritmo creando scarto drammatico.
Felice paradosso: l’antinarrativo astratto è più avvincente di una fiction.

Grande successo e commozione e un plauso alla direzione artistica di Reggio Emilia per averne avuto l’esclusiva italiana. 

Visto il
al Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia (RE)