La Scala dedica le recite di Elektra “in ricordo di Patrice Chéreau”, mancato lo scorso ottobre, e nel programma di sala, dopo la biografia, ecco locandine e foto di scena dei suoi spettacoli allestiti a Milano: Lulu di Alban Berg (1979, direttore Pierre Boulez), Lucio Silla di Mozart (1984, direttore Sylvain Cambreling), L'histoire du soldat di Igor Stravinskij (2007, direttore Daniel Barenboim, qui Chéreau è in veste di voce narrante), Tristan und Isolde di Wagner (2007, direttore Daniel Barenboim, inaugurazione di stagione), il memorabile Da una casa di morti (2010, direttore Esa-Pekka Salonen) fino a questa Elektra diretta da Esa-Pekka Salonen che ha debuttato la scorsa estate ad Aix-en-Provence coprodotta dalla Scala col Festival di Aix-en-Provence, il Metropolitan di New York, la Finnish national opera di Helsinki, la Staatsoper di Berlino e il Liceu di Barcellona.
Lo spazio pensato da Richard Peduzzi è, al tempo stesso, esterno e interno: una corte delimitata da alte mura ai lati prive di finestre con, sul fondo, una parete absidata alla maniera degli iwan delle moschee iraniane. Le luci antinaturalistiche di Dominique Bruguière immergono il palco in un nero assorbente e aumentano il senso di estraniamento e di desolazione, mentre i costumi di Caroline De Vivaise, contemporanei e senza tempo, presuppongono l'eternità della vicenda.
Nelle note di regia Patrice Chéreau sottolinea la vita isolata di Elettra a corte, il degrado del quotidiano, il lutto eterno e inutile che sostiene una vendetta mai compiuta e perpetuamente fantasticata: l'agire di Elettra è invero ritardo nell'agire, le domande che non trovano risposta tornano indietro al mittente con forza aumentata, l'azione viene rifiutata in modo “viscerale e incosciente”. Il regista avvicina Elettra ad Amleto in quanto entrambi sarebbero dominati dall'ala nera della depressione, con la sua alternanza di stanchezza, di panico e di esaltazione – e il sarcasmo e l'ironia che vogliono far male ma feriscono solo colui o colei che li utilizza.
L'assistente Vincent Huguet riprende la regia di Chéreau, un lavoro eccellente e di grande forza scenica. Il libretto e la musica sono sviscerati per analizzare i personaggi e i rapporti tra loro con senso di coralità. Il risultato è una straordinaria opera di regia con una forza scenica dirompente. Elektra, inesorabilmente e insondabilmente triste e sola, ha movimenti e posture tribali, feriniche, di primitiva eroticità, di barbarico furore, di erinnica primordialità. Il contrasto con Crisotemide è immediato, anche nell'abbigliamento, e, nel loro duetto, emergono i due mondi inconciliabili. La distanza con Clitennestra è incolmabile, a partire dagli atteggiamenti fisici, e il loro duetto esprime una tensione palpabile. Tutto è degradato e stanco, persino i servi sono anziani e canuti. Ma resta quella dignità che impone di pulire a fondo e tenere tutto in ordine: il raspare della scopa di saggina a sipario aperto, nei lunghi minuti prima dell'attacco della musica, graffia il cuore. Dopo il matricidio a vista come su un'ara sacrificale, Oreste arma il braccio al precettore che accoltella un Egisto giovane e rabbioso, contrapposto all'Oreste autorevole e canuto con una gravitas incombente che si stende su tutto come petrolio. Nel finale Elettra resta in vita ma come se fosse priva di vita, raggelata, seduta immobile e priva di espressione dando le spalle al fratello che se ne va per sempre.
Esa-Pekka Salonen dirige in modo straordinario e l'orchestra scaligara lo segue in stato di grazia. I tempi sono rapidi quando occorre ma altrove si allargano con effetto di grande presa emotiva, come nel riconoscimento di Oreste. La componente sinfonica è esaltata con suoni di grande energia ma senza trascurare i dettagli, come la smaltata trasparenza degli archi. Nell'ascolto si percepisce immediatamente cosa significhi grandioso ma mai pesante. Il maestro evidenza ogni dettaglio della strumentazione, caricandolo di riflesso teatrale e al tempo stesso accompagnandolo a una totale cantabilità.
Evelyn Herlitzius dimostra in Elettra una totale e incisiva adesione al ruolo e indugia scavando in ogni parola con incredibile efficacia; la sua voce è ampia e salda e la linea di canto ferma, ancorata a un registro centrale solido; giocata su accenti di spiccata espressività, la sua Elettra cattura il pubblico e convince vocalmente e attorialmente: indimenticabile la sua danza a scatti tra follia e isteria. Adrianne Pieczonka è una Crisotemide intensa e dal bel timbro, luminoso e dolce. Waltraud Meier è una Clitennestra molto più cantata che declamata con uno splendido legato e gioca sulla tessitura bassa, ottenendo suoni a fuoco di grande spessore espressivo. René Pape è un sontuoso Oreste dalla voce morbida che ben si distende nelle linee melodiche del ruolo; scenicamente resta maggiormente impresso per il suo appeal agée. A completare degnamente il cast dei ruoli principali Thomas Randle (Egisto) e Franz Mazura (Precettore di Oreste). Bravi nei ruoli di contorno Renate Behle, Michael Pflumm, Donald McIntyre, Bonita Hyman, Andrea Hill, Silvia Hablowetz, Marie-Eve Munger, Roberta Alexander. Con loro Roberta Calabrese, Silvia Mapelli, Claudia Vignati, Agnese Vitali e il coro della Scala preparato da Alberto Malazzi.
Pubblico entusiasta per uno spettacolo splendido in ogni sua componente.