Raro miracolo che un'opera contemporanea riesca ad entrare in repertorio. Una volta portata in scena, dopo essere stata scritta talvolta su commissione – come nel caso di Else, atto unico che Federico Gardella ha composto su incarico del Cantiere d'Arte di Montepulciano 2021- un'opera d'oggi può magari apparire in altri due, tre contesti diversi.
Ma il suo destino è inesorabile, ed eccola infine messa da parte. Anche nel caso abbia notevoli qualità e potenzialità considerevoli, vedi Aquagranda di Filippo Perocco, Premio Abbiati 2017. Quanti ne abbiamo constatati, di questi mesti epiloghi teatrali, da quando scriviamo di musica e di teatro!
Nondimeno, se alla fine cade l'interesse nei loro confronti è perché il più delle volte il loro valore non è poi così significativo, e la loro teatralità è ridotta al lumicino. Manca, insomma l'estrinseca qualità.
L'impressione è che spesso gli autori scrivano più per sé stessi, in atteggiamento elitario e solipsistico, che pensando al pubblico, il quale non si sente quindi più di tanto coinvolto, non si appassiona, non chiede di rivederle. Viene in mente il vecchio Verdi, che indagava se il suo Falstaff , appena presentato alla Scala, aveva successo al botteghino.
Scarsa ispirazione musicale, base letteraria poco convincente
Fatto sta che lo spettacolo che abbiamo visto – e che sarà replicato in ottobre a Reggio Emilia – pare avere un sola, grande qualità: la brevità. D'altro canto, i nostri autori contemporanei pare non abbiano fiato sufficiente a coprire distanze più lunghe. Per il resto, la partitura di Else – pur eseguita con indubbia maestria dall'Ensamble Risognanze diretto dal suo storico direttore, Tito Ceccherini, ci è sembrata scarsamente interessante.
Più che altro, appare un mero esercizio di stile, un assemblaggio di suoni e soluzioni déjà-vues: un po' di Sciarrino, un po' di Castiglioni, un po' di Corghi, un po' di Nono, una bella mixata e via. Il talento di Gardella si intravede, si percepisce, ma qui troviamo solo un esercizio di buon mestiere. Manca cioè in questo bozzetto teatrale l'ispirazione più profonda; manca il pathos, e quella concretezza teatrale che farebbe venire la voglia di rivederlo.
Quanto al libretto di Cecilia Ligorio – cui dobbiamo anche una regia non memorabile - banalizza e isterilisce il bel racconto – titolo originario Fräulein Else – pubblicato nel 1924 da Artur Schnitzler, e condotto sul filo di un intensissimo ed alla fine angoscioso monologo interiore della protagonista, una spensierata fanciulla viennese in vacanza sulle Dolomiti.
Intelligente, curiosa, ironica, ma priva di esperienza della vita e di difese psicologiche, viene indotta dalla madre a prostituirsi con un ricco conoscente, al fine di salvare l'onore (e il conto in banca) della famiglia. Soluzione scansata con il tragico suicidio. Pagine assai dense, in cui Schnitzler conduce una indagine spietata sulla frivolezza, sull'ipocrisia, sulla cattiveria, sul finto perbenismo della 'buona borghesia' austriaca del suo tempo.
Tre voci da contorno alla protagonista
La giovane Else – ruolo sopranile ricoperto da Maria Elena Caminada, attrice persuasiva e valida cantante – procede alternando sussurro, parlato e slanci intonati. Anche qui, cose già viste ed udite. Il mezzosoprano Alda Caiello interpreta la signora Cissy e poi la madre di Else; il tenore Leonardo Cortellazzi è il fatuo Paul, il basso Michele Gianquinto il laido Dorsday. Insieme, danno corpo alle tre Voci che dialogano con la ragazza.
Scene e costumi portano la firma di Domenico Franchi, e sono frutto almeno in parte d'un percorso creativo che ha coinvolto alcuni allievi dell'Accademia di Belle Arti di Macerata, che hanno collaborato anche in altro. Come nel disegno luci, che Fabiola Tacchi e Federico Pallotta hanno ideato coordinati da Francesca Cecarini.