Non c'è dubbio che il nostro '700 sia una miniera ancora ricca di filoni auriferi, tutti da esplorare. Lo dimostra questa splendida Engelberta presentata al Teatro Malibran di Venezia, ulteriore tassello alla ricostruzione dell'opus operistico di Tomaso Albinoni.
Il merito del presente recupero è duplice. Da una parte, vi è l'impulso della Fondazione La Fenice, volto alla rivalutazione del repertorio barocco veneziano a partire dal suo più illustre esponente, Antonio Vivaldi. Dall'altra, l'apporto del Conservatorio Benedetto Marcello, che mediante il Progetto Opera Studio pone in campo le proprie forze artistiche: da qualche anno, proprio per riportare alla luce quanto possa esser sopravvissuto della cinquantina di melodrammi di Albinoni, autore sinora apprezzato quasi esclusivamente per la sua produzione strumentale.
Un enorme catalogo d'opere dissolto nel nulla
Il fatto è che massima parte di quella ricca messe nel tempo s'è persa: ma dopo la resurrezione di Zenobia e de La Statira, riappare sempre al Malibran dopo oltre tre secoli l'Engelberta, basata su un valido libretto di Apostolo Zeno che ebbe ampia circolazione; opera a lungo creduta in tutto o in parte di Francesco Gasparini, ma che recenti studi di Franco Rossi, autore della sua revisione, ricollocano a pieno titolo nel catalogo albinoniano.
Creata al Teatro di San Cassiano nel dicembre 1708 con un cast d'eccellenza - vi figurava fra gli altri il Senesino - Engelberta presenta un'ambientazione altomedievale, con un soggetto che vede la protagonista vittima della gelosia del consorte Lodovico II, imperatore di Germania; creduta fedifraga ed avvelenatrice su accusa di Ernesto, spasimante da lei respinto, viene condannata a morte dal marito; ma Bonoso, incaricato dell'esecuzione, la risparmia celandola nella foresta. Il lieto fine vede Lodovico pentirsi, scoprire la verità, riabbracciare la sposa; Ernesto impazzire prima d'essere condotto al patibolo; Bonoso premiato con la mano di Metilde, figlia di Engelberta, già inutilmente corteggiata da Arrigo.
La trama di fondo non è inedita, certo; ma nuova è la profondità che Zeno sa infondere ai caratteri dei suoi personaggi, elaborando per opportuni gradienti una sapiente macchina scenica, che nel dialogo fra Lodovico e il creduto fantasma della moglie trova un apice di intensa, vivacissima teatralità.
Musiche che fanno rimpiangere quanto perduto
Quanto alle belle musiche di Albinoni, poco invero cedono alle convenzioni del suo tempo, muovendosi assai liberamente in lui la fantasia armonica e l'inventiva melodica, ed evitando virtuosismi vocali fini a sé stessi. Nell'insieme, si coglie in questo lavoro – che ben meriterebbe più ampia circolazione - una raffinatissima condotta compositiva, pur con mezzi elementari: l'orchestra è di soli archi e continuo; un unico brano, «Usignolo, che col volo», vede un flauto dolce concertare con la voce della protagonista. Una partitura dunque di sommo valore, immersa in una dimensione di tenerissima, soffusa, dolce melanconia che costituisce la cifra caratteristica, ed il maggior pregio di tutto il suo impianto musicale.
Un cast di grande sensibilità
Concertazione di squisita sensibilità e salda direzione le dobbiamo a Francesco Erle, a capo dell'efficiente Orchestra Barocca del Conservatorio Marcello. Interpreti tutti provenienti dai corsi Progetto Opera Studio: Miranda Ying Quan (Lodovico), Ligia Ishitani (Engelberta), Sara Fogagnolo (Metilde), Yuxiang Liu (Bonoso), Yihao Duan (Arrigo), Ilaria Ospici (Ernesto), Xiangbo Zhang (Ottone). Alterna la qualità delle singole prestazioni; da tener d'occhio però i promettenti talenti dei primi due nomi citati.
Perfettamente riuscita, nella sua sobria eleganza, la mise en scéne di Francesco Bellotto, che molta attenzione dedica all'espressività dei singoli personaggi. Gioca poi benissimo con i figuranti, costruendo bellissimi tableaux: fascinose, in particolare, le grandi figure alate dell'Angelo Bianco e dell'Angelo Nero. Le scenografie di Alessia Colosso, nella loro classica linearità, funzionano egregiamente; gradevoli e ricercati nel disegno i costumi di Carlos Tieppo; calzanti le luci di Fabio Barettin; i movimento coreografici sono di Arianna Moro.