Prosa
ERESIA. [NERA] [ROSSA] [ ] [ ]. VISIONI NON DOGMATICHE DEL MONDO

L'eresia della nostra contemporaneità

L'eresia della nostra contemporaneità

Sineglossa sono in pieno afflato creativo. Dopo aver presentato a Roma lo scorso maggio un primo studio sulla stanza nera, primo nucleo di un progetto biennale di ricerca su Giovanna d'Arco che si chiama Eresia, (portato con successo, in una edizione estesa, in giro per l'Italia) Federico Bomba, Simona Sala e il resto di Sineglossa hanno lavorato per la seconda stanza, quella rossa, presentandola insieme a quella nera estesa, al Palladium.
La peculiarità di questo lavoro in fieri è la diversità di approccio e di approdo, cioè di risultato, di ogni singola stanza per le quali Sineglossa si mette in gioco coinvolgendo anche i partecipanti ai laboratori che organizza e tiene, durante le residenze creative. Corsi organizzati durante il periodo in cui la compagnia è cioè ospite di altre realtà teatrali nell'ambito di progetti di scambio, produzione e sostegno al teatro. Nel caso di stanza Rossa sono stati spesi i saperi del laboratorio sulla voce tenuto da Roberto Zechini i partecipanti del quale hanno contribuito con la loro performance dal vivo alla partitura musicale dello spettacolo. Unico neo l'aver relegato musicista e cantanti fuori dalla vista dello spettatore, per esigenze di allestimento scenografico, nella struttura sulla quale prendono forma le due stanze non c'è fisicamente posto per loro.
La scena, semplice e polifunzionale, consta di diversi tubi piantati nel terreno, spogli tronchi d'albero di un bosco simbolico, e, dietro, una struttura complessa costruita sempre coi dei tubi che ritagliano tre sezioni di spazio dove Simona Sala, coadiuvata quando serve da Federico Bomba, incarna la pulzella Giovanna mentre alcuni pannelli di plexiglas dividono, occultano, scoprono l'azione, a seconda del caso.
Durante la prima stanza l'oscurità permea la scena tranne alcune luci puntiformi che illuminano dettagli del corpo dell'attrice, mani, viso, piedi, nascondendo al contempo il resto (secondo una delle idee fondanti della poetica di Sineglossa, cioè la capacità della luce di nascondere). Queste luci puntiformi illuminano alternatamente e, a tratti, assieme, Giovanna e il suo inquisitore che conduce un interrogatorio che sembra volerla indottrinare: l'uomo le enumera parole alle quali Giovanna deve rispondere con parole nuove, derivate dalle prime, modificate di significato con l'aggiunta di una sillaba (senza/sentenza). Giovanna si lascia trascinare lentamente in questo gioco linguistico che sembra non comprendere fino in fondo. Così non si rassegna a rispondere alle sillabe "di" e "no" (che lei interpreta come il comando "dì no") con la parola che per l'inquisitore ne deriva necessariamente: "divino". Adeguandosi a quello che crede essere un comando, Giovanna continua a dire no... E qui la sequenza di parole dette e ripetute si spezza come l'inquisitore spezza le matite conficcate nei palmi di Giovanna procurandole dolore, prima parola da cui nasce il gioco linguistico.
Poi Giovanna si libera e si avvia, al buio, verso la foresta di tubi ai quali si appoggia, sbatte contro, si aggira tra i quali, sempre al buio. Quand'ecco che dai tubi, appena lei li tocca, appaiono delle lettere scritte con segni puntiformi. Prima qualche segno, timido, su uno o un altro tubo, poi, man mano che una complessa partitura di parole (tra francese, tedesco e poco italiano) e musica (accordi vocalizzati) si sviluppa, sui singoli tubi diverse lettere si illuminano di vita propria. Poi Giovanna tesse con un filo bianco un ordito sulla struttura tubolare dentro la quale era prima seduta, ottenendo un triangolo, finché, padrona della scena, torna nei pressi del tavolo dove è stata interrogata e, in piedi, intinge in un'ampolla un pezzo di pane che porta alla bocca mentre si rivolge al pubblico.
Stanza Nera indaga la parola secondo due direttrici principali, la parola detta e la parola scritta. Parole che Sineglossa è andata a cercare tra i verbali del processo che sono alla base di quelle scelte per il gioco combinatorio. Una ricerca sulla potenza numinosa della parola proferita, sulle cui implicazioni, sui significati delle quali, indaga lo spettacolo. A un mondo prevaricatore e storicamente maschile che si esplica in una sapienza chiusa nella parola scritta, qui indagata nel suo primo farsi, lettera per lettera, lo spettacolo oppone la conoscenza in fieri fondata sull'agire della dirompente conoscenza femminile, impermeabile alle trappole del linguaggio (quel dire no che non può mai diventare divino) incarnata da una giovane impavida che si oppone ai totem della conoscenza (i tubi?) con tutta la concretezza del proprio corpo, della propria organicità, del proprio essere in vita, contro una parola scritta che, come diceva Platone, è solo rimembranza della conoscenza vera che sta sempre altrove.
Una lotta impari tra l'uomo e la donna, tra l'inquisitore e l'inquisita, oppure, anche, tra lo studioso e la creatura indomita che cerca di analizzare, non sempre con categorie adeguate, in un rapporto conflittuale tra cultura e natura, tra agiografo e Santa che, Sineglossa ci tiene a ricordare, è lo stesso che intercorre tra l'attrice e il suo regista.
La seconda stanza, rossa, dedicata alla battaglia, vede una Giovanna casalinga alle prese con i lavori donneschi della cucina, tagliare dei pezzi di carne. Poi un taglio accidentale di un dito scatena in lei una furia indomabile. Giovanna allora abbandona la cucina e indossa una pesante armatura ornata di asce e da un elmo-corona di notevole effetto scenico che Giovanna porta fiera. Intanto tra le pareti di plexiglas scorre un fumo denso che si agita furioso, mentre dei piccoli robot rossi di 25 cm di altezza circa prendono vita e vengono disposti a schiera intorno a Giovanna che, così bardata, avanza lentamente di proscenio mentre una luce rossa come il sangue inonda la scena. Là dove c'era la sua cucina, compare una tavola di legno verticale sulla quale Giovanna lancia asce e coltelli in modo da farli conficcare nel legno, mentre la musica, costruita su vocalizzi e sul suono di una chitarra elettrica cresce di intensità accompagnando il lancio di asce fino all'apoteosi finale che vede una Giovanna vittoriosa levarsi fiera l'elmo. L'intensità emotiva della scena (grazie sì alla partitura sonora ma soprattutto alla capacità di Simona Sala di restituire l'eco emotiva di questa battaglia simbolica) è al suo climax e, per quanto ci riguarda, la seconda stanza poteva concludersi qui. C'è invece una coda che ci mostra Giovanna nuovamente in cucina, a tagliar cipolle, importante dal punto di vista narrativo perchè ricorda come a qualunque rivoluzione segua sempre una reazione e che c'è sempre un'istanza di controllo che relega la donna al posto che la cultura patriarcale crede sia per lei il più appropriato. Emotivamente per lo spettatore quel ritorno in cucina è un tornare indietro, una ripetizione che smorza troppo presto l'apoteosi estatica raggiunta dalla battaglia.
Anche per questa seconda stanza la componente artigianale degli oggetti di scena distingue Sineglossa da ogni altra compagnia. L'armatura è un capolavoro di arte (in)organica, una figura aliena come quella di certe figure nipponiche (i robot dei tanti anime di fantascienza) cui fanno da contraltare i robottini rossi disseminati di proscenio mentre per il lancio dei coltelli e delle asce Simona Sala si è allenata sotto la supervisione di un trainer.
Come le lettere che compaiono sui tubi di alluminio della prima stanza, ottenute con dei micro-fori, fatti con certosina pazienza da Luca Poncetta, illuminati dall'interno con dei led, la cui accensione è controllata da un dispositivo di comando costruito in proprio, dove i dimer sono sostituiti da singole piastre di rame che, toccate da una sbarra, danno energia ai led nei tubi e al resto delle luci di scena.
Come spiega Federico sulle pagine del loro sito più che una figura, Giovanna sta diventando un archetipo di accesso su quanto di più urgente si pone ai nostri occhi; tante questioni impellenti, estetiche e drammaturgiche.
Questa esplorazione di uno dei miti fondativi della modernità d'Europa sta assumendo per Sineglossa sempre di più i connotati di una ricerca sulla contemporaneità, nella quale uno sguardo femminile riesce a penetrare nel linguaggio, che è sempre maschile, con coraggio e la determinazione di destrutturare scale di valori e rapporti di potere con la stessa dirompenza che la Pulzella d'Orleans ebbe a suo tempo.
Una ricerca dirompente, lucida ed efficace con la quale Sineglossa continua a dimostrarsi una delle realtà teatrali più interessanti del panorama italiano.

Visto il 31-10-2010
al Palladium di Roma (RM)