Il teatro dell'Opera di Roma è forse quello che più compitamente ha reso omaggio a Verdi nell'anno del bicentenario, sicuramente dal punto di vista musicale con numerose eccellenti esecuzioni affidate a Riccardo Muti e particolarmente apprezzate. Ernani, opera giovanile che consente agganci con le successive, inaugura la stagione 2013-14 chiudendo le celebrazioni ed è affidata interamente a Hugo De Ana (regista, scenografo e costumista) per un nuovo allestimento coprodotto con la Sydney Opera House.
La scena è monumentale e fissa, quasi una piazzetta più che un interno: alte pareti a finto bugnato in basso e mattoni parzialmente coperti da marmo in alto con una delle finestre non in asse con il rivestimento. Dai lati tre sezioni escono in avanti come grandi cassetti per suggerire (con risultati non apprezzabili) diversi ambienti, anche con l'ausilio di qualche mobile e proiezioni sulla parete di fondo di dettagli architettonici, un timpano triangolare, statue, macchie, linee. I costumi storici sembrano meno declinati secondo i canoni di eleganza formale e uniformità cromatica a cui De Ana ci ha abituati: le stoffe cangianti delle casacche dei ribelli del primo atto, i colori vivaci degli abiti delle donne in turbante, le casacche a righe effetto “divano” del second'atto. Giuste le luci di Vinicio Cheli. La regia sceglie di creare, nel poco spazio a differenti livelli, tableaux vivant che rimandano a certa pittura fiamminga del Seicento coi protagonisti in proscenio a cantare con gesti di prammatica che non aggiungono nulla alla trama né contribuiscono a chiarificarla al pubblico. Trascurabili le coreografie di Leda Lojodice eseguite nel quarto atto davanti a una griglia che cala dall'alto.
Maggiori emozioni arrivano dal versante musicale. Riccardo Muti trova la chiave ottimale nell'accentuare i contrasti di una tinta orchestrale sempre densa e tesa: i momenti intimi e lirici sono resi con leggerezza e trasparenza, i momenti veementi e d'impeto sono resi con ampiezza morbida e respiro esaltante. Se qualche volta i volumi sembrano eccessivi, tuttavia il canto strumentale riesce a farsi sempre riflesso di quello vocale e il bilanciamento buca-palco è ben garantito, anzi uno è stimolo all'altro con grande efficacia. I dettagli sono analizzati acutamente ma senza che emergano a danno dell'insieme, anzi vengono inseriti in una sintesi ideale che valorizza una narrazione drammaturgicamente avvincente, ancora di più al confronto con uno spettacolo statico e scontato.
Francesco Meli ha voce bella e generosa che splende nel centrale luminoso e sale facilmente agli acuti pieni e affrontati con sicurezza; impeccabile il legato e la cura della parola che hanno reso il suo Ernani eccellente a cominciare da “Come rugiada al cespite”; il tenore ben rende sia i toni carichi di enfasi (che però non sono mai esagitati) che quelli lirici, in cui si è apprezzata la dolcezza della linea di canto con chiaroscuri cesellati. Luca Salsi è un ideale baritono verdiano e ha un controllo perfetto del suo mezzo, come dimostrato in “Da quel dì che t'ho veduta” carico di amorosi accenti anche grazie a un'ideale tornitura del verso. Ildar Abdrazakov ha sostituito l'annunciato Ildebrando D'Arcangelo e il pubblico può ben essere soddisfatto per la splendida prova del basso: il timbro è davvero bellissimo, la linea di canto controllata e a fuoco e il suo Silva è parso al di sopra del resto del cast, alla pari di Meli. Tatiana Serjan ha voce potente ed estesa ma il timbro è vetroso e aspro, soprattutto in acuto: ideale per Lady Macbeth, meno per gli altri ruoli; se la coloratura è fluida, mancano completamente gli accenti amorosi che consentono un credibile ed emozionante ripiego lirico e così “Ernani involami” è sembrata significare altro, privata degli accenti amorosi, mentre si è maggiormente apprezzata nella rabbia e nel disprezzo della successiva “Fiero sangue d'Aragona”. Adeguati nei ruoli di contorno Simge Buyukedes (Giovanna), Antonello Ceron (Don Riccardo) e Gianfranco Montresor (Jago). Il coro è stato ben preparato da Roberto Gabbiani e ha mostrato musicalità e compattezza eccellenti, meritando la ripetizione del “Leon di Castiglia” eseguito con colori e accenti giusti nonostante la banalità di gesti e movimenti.
Teatro praticamente esaurito, spettacolo accolto con favore dal pubblico, molti applausi a scena aperta e nel finale, soprattutto per Muti, Meli, Abdrazakov, indubbiamente i tre migliori della serata. Il manifesto è stato realizzato da Mimmo Paladino col tricolore italiano e due facce affrontate.