“Evgenij Onegin” è una straordinaria meditazione sul cuore umano. Nelle “scene liriche in tre atti e sette quadri” elaborate da Cajkovskij tra il 1877 e il 1878, sfilano cuori ingrigiti e dimentichi (Larina e Filipp’evna); cuori tanto leggeri da diventare avventati e involontariamente fatali (Ol’ga); cuori troppo sinceri e schietti e forse proprio per questo destinati a spegnersi (Lenskij); cuori avvizziti ma miracolosamente ravvivati dal soffio dell’amore (Gremin); cuori appassionati e calpestati che si corazzano per non soffrire (Tat’jana); cuori sprezzanti che si dischiudono troppo tardi al sentimento (Onegin). Le pulsazioni mutevoli e discordi di tutti questi cuori animano una partitura raffinata, nella quale l’eleganza timbrica e la pienezza sinfonica della scrittura orchestrale, continuamente percorsa da echi e presagi, si sposano alla valorizzazione delle voci, ora lasciate libere di dispiegare la propria forza espressiva nelle pagine solistiche, ora intrecciate in sapientissimi ensembles. L’ombra di un destino inesorabile avvolge l’intera opera (l’inquietudine che pervade Larina e le sue figlie alla prima visita di Evgenij non è già un annuncio della rovinosa sofferenza che seguirà?). I personaggi si avvitano senza possibilità di scampo nelle spire di una sorte beffarda, portatrice di una morte senza senso, di un sacrificio senza ricompensa, di un amore fuori tempo massimo.
L’allestimento proposto dal Teatro di San Carlo, già applaudito e premiato su diversi palcoscenici europei, offre una lettura efficacissima del capolavoro di Cajkovskij. Merito soprattutto della regia di Michal Znaniecki, piena di poesia e di intelligenza, originale ma esente da ostentazioni e prevaricazioni, capace di trasformare in occasione di approfondimento esegetico quella scarsità d’azione che spesso è stata indicata come un limite della creazione russa. Alcune intuizioni sono davvero notevoli: le frasi d’amore vergate poco a poco dalla luce sulle pareti mentre Tat’jana compone con urgenza febbrile la lettera d’amore; l’accento grottesco conferito alla festa che apre il secondo atto; l’aria di Lenskij nell’imminenza del duello cantata in proscenio sullo sfondo di una tormenta di neve; il telo trasparente che separa Onegin dai partecipanti al ballo in casa del principe Gremin, barriera simbolica dell’emarginazione e dell’incomunicabilità. Bellissima la scena unica ideata da Luigi Scoglio: tre pareti di ghiaccio squarciate da un grande foro centrale, con gli sfondi retrostanti che cambiano per rappresentare le diverse ambientazioni; nello spazio così definito, anemici tronchi di betulla stillano lacrime invisibili e assumono disposizioni mutevoli per rappresentare ora un bosco, ora il colonnato di una sala. A connotare i diversi momenti dell’azione provvedono le luci governate da Bogumil Palewicz, quasi sempre algide ma pronte a tingersi di tonalità calde quando l’amore autentico conquista i gesti o le parole dei protagonisti, oppure ad assottigliarsi in una penombra misteriosa per avvolgere i momenti più intimi. Pure firmati da Znaniecki, i costumi si sposano perfettamente con lo stile complessivo della messinscena: sono sfarzosi ma avarissimi di colori, fino a raggiungere il grado zero del bianco abbacinante e fantasmatico nel terzo atto. Ai movimenti perfettamente calibrati dei protagonisti si uniscono le coreografie stilizzate di Diana Theocharidis, che intrappolano i ballerini in gesti meccanici e ripetitivi, inesorabili come il fato che governa la vicenda rappresentata.
Complessivamente buona la prova del cast. Igor Golovatenko è un Onegin vocalmente valido, ma la sua recitazione non mette sufficientemente a fuoco i tratti di ricercatezza e di cinismo che caratterizzano il complesso personaggio creato da Puskin. Carmela Remigio interpreta con generosità gli slanci di Tat’jana, anche se forse non possiede tutto lo spessore richiesto dal ruolo. Molto bravi - e molto applauditi - Ketevan Kemoklidze (Ol’ga), brillante nel canto e nel gesto, e Marius Brenciu (Lenskij), preciso e potente. Bello il timbro di Dmitry Beloselskiy (Gremin). Giovanna Lanza (Larina), Elena Sommer (Filipp’evna), Andrea Snarski (Zareckij) e Bruno Lazzaretti (Triquet) fanno corona ai protagonisti con pregevole disinvoltura. Ottima la prova dell’orchestra del teatro magistralmente diretta da John Axelrod, che asseconda con grande sensibilità il respiro cangiante della partitura di Cajkovskij senza mai perdere di vista la coerenza dell’insieme. Un buon lavoro svolge anche il coro guidato da Salvatore Caputo. Una delle cose migliori viste al San Carlo negli ultimi tempi.
Lirica
EVGENIJ ONEGIN
Onegin nel ghiaccio
Visto il
al
San Carlo
di Napoli
(NA)