Il testo di Betta Cianchini, dal titolo infelice per la sua cacofonia e non immediatezza - Ex moglie si innamora “da morire” di ex moglie - (molto meglio il titolo alternativo messo tra parentesi Allegra barbarie) è un testo importante di teatro civico nel quale confluiscono diverse istanze.
La più dolorosa è il racconto e la denuncia di un femminicidio, la morte di una donna, cioè, per mano di un uomo che è il suo compagno, suo marito, più spesso ex.
Poi c'è il tentativo di descrivere con bonaria ironia, ma scarsi risultati, l'uomo italiano medio e i suoi rapporti col femminile, e, last but not least, il racconto dell'innamoramento della protagonista per una donna, la parte più tenera, emozionante e indimenticabile del monologo.
L'idea drammaturgica di iniziare il monologo come un testo comico brillante sui rapporti uomo donna per poi virare verso l'innamoramento di una donna per una donna e, infine, verso la morte cruenta della protagonista per mano del marito abbandonato, è elegante e sulla scena funziona, principalmente grazie a Francesca Romana Miceli Picardi che riesce a passare da un registro narrativo all'altro con naturalezza e continuità anche quando il testo inciampa.
Francesca Romana è una forza della natura e dà credibilità al personaggio che interpreta con la sua sola presenza, quella dell'attrice naturalmente, ma anche della donna, della persona, che riesce a entrare in contatto empatico con il pubblico, anche quello romano mediamente poco educato (in entrambi i possibili significati del termine).
La sala del teatro - una volta tanto gremita - pende dalle sue labbra, in religioso silenzio, come solo un vero animale da palcoscenico riesce a ottenere.
Da sola sulla scena (tranne due apparizioni a inizio e fine spettacolo del marito) Maria ci racconta la sua storia mentre si muove in uno spazio vuoto nel quale campeggiano alcuni fili per stendere il bucato con relative mollette, sul quale appenderà alcuni indumenti, abiti, oggetti.
Anche se Maria lavora (è laureata ma fa un non meglio specificato lavoro da impiegata) la regia ha scelto di allestire una scena in cui l'unico segno che la contraddistingue è parte di quei lavori donneschi di mussoliniana memoria che evidentemente, ancora oggi, nel 2013, sono percepiti come precipuamente femminili in barba alle critiche sugli stereotipi di genere fatte in quarant'anni di femminismo.
Dispiace vedere svilita la figura femminile relegandola in un luogo tristemente casalingo scelto non come denuncia di una imposizione ma come luogo intimo dove raccontare della propria vita e morte.
Il margine d'azione di Maria è lo spazio casalingo perchè è quello l'unico che nel testo sembra avere importanza senza prendere in considerazioni modelli identificativi o comportamenti sociali e
sperequazione salariale.
Il testo non affronta il problema del lavoro che rimane esterno al racconto, puro dato biografico con qualche elemento classista: il marito di Maria non ha finito nemmeno l'alberghiero mentre lei è laureata, però è lui a guadagnare più di lei (ce lo fa capire quando sottolinea che il marito ha un buon 740) come se le donne non lavorassero e non si mantenessero da sole già da un pezzo.
La comicità della prima parte del monologo si rifà a un immaginario collettivo vecchio, quando la divisione dei compiti tra coniugi nella gestione della casa era solo un argomento nell'agenda dei collettivi femministi e lo Stato di famiglia era ancora quello varato nel 42 (non a caso Maria parla di patria potestà... termine desueto dall'entrata in vigore del nuovo stato di famiglia del 1975).
Nel racconto di Maria nulla ci viene detto di quanto accade nel mondo esterno (i suoi rapporti lavorativi, le
sue frequentazioni sociali) se non quanto è vagliato tramite il suo vissuto privato e personale.
Manca, insomma, una lettura politica, della storia che Maria ci racconta e per raccontarla il testo si rifà a degli stereotipi di genere che si pretendono veri e universali.
Le considerazioni di Maria sul marito, assunto come esempio tipico di tutti gli uomini, sfiorano un po' di luoghi comuni innocui che, nel constatarne i difetti, non ne fanno critica ma finiscono con una bonaria assoluzione tanto si sa che gli uomini sono fatti così.
Il marito di Maria comunica a monosillabi, gira in casa trascinando le pantofole, sta seduto nel fatidico divano sul quale lascia dei segni sempre più indelebili, si cura più del suo cagnolino (che Maria segretamente odia) che di lei, secondo un immaginario collettivo da show televisivo dove il patriarcato non viene mai messo in discussione.
Questo ci pare il più grande limite di un testo che viene presentato come testo inchiesta. Un'inchiesta che non esce mai dalle mura casalinghe e che non guarda a modelli di comportamento né dentro né fuori le mura domestiche.
Prima ancora di Maria il testo sembra ignorare il fatto che possono esistere rapporti diversi tra uomini e donne e che l'alternativa non è necessariamente il lesbismo cui Maria accede dalla strada, legittima ma un po' svilente, della solidarietà tra donne, una volta che esce di casa dopo aver litigato col marito che, improvvisamente, si è messo a fare il geloso, una gelosia spiegata più per le ascendenze geografiche dell'uomo che per il maschilismo insito nella mentalità italiana.
Quando l'amicizia e la simpatia che prova per Erica somigliano sempre di più a quelle che lei provava per il marito e si scopre innamorata di lei, Maria diventa subito lesbica, non solo ai suoi stessi occhi ma anche per quelli dell'autrice del testo che dà un po' troppo per scontata l'attrazione fisica per un'altra donna, senza renderla davvero un'esperienza di Maria.
L'affettività è quella di una donna, insoddisfatta dalla sua vita col marito e con una figlia piccola del cui rapporto poco sappiamo, che si affida all'empatia di un'altra donna.
La sessualità non è raccontata e la scoperta è subito sussunta nel suo stato di neo lesbica.
Il rapporto con Erica, che Maria paragona a quello col marito, per elogiarne le differenze, che a ben vedere è quello di due persone che si trovano bene, confrontato con quello di due persone che non si sono trovate, viene spiegato dal testo e da Maria come differenza di genere non già perchè sono diverse le persone ma perchè gli uomini sono diversi dalle donne, spersonalizzando così i rapporti umani costringendoli in degli stereotipi di genere che non vengono mai davvero messi in discussione.
L'affetto di Maria per Erica è però così teneramente raccontato nel testo - e così splendidamente restituito da Miceli Picardi sulla scena - da costituire uno dei più begli esempi di amore lesbico raccontato a teatro (almeno in Italia) senza sminuirne la portata esperienziale in un proclama rivendicativo che qui è già tutto nell'amore consumato, vissuto, esperito, che non deve difendersi o giustificarsi ma che dice al mondo la propria felicità, costituendo la parte più riuscita e sincera del testo.
Le notazioni che accompagnano la parte del monologo che conduce dalla scelta di Maria di lasciare il marito e vivere con Erica fino alla sua morte e che vedono oltre alla reazione negativa del marito non solo quella della famiglia di Maria ma anche quella della scuola dove va Alice, sono piene di incongruenze e di dettagli poco chiari che fanno riferimento anche a pratiche giudiziarie non propriamente corrette.
Dalla lotta per l'affido di Alice deciso solo dagli avvocati e non dal giudice, al fatto di dare per scontato che Maria possa perdere la figlia perchè vive con un'altra donna, ignorando che la legge oggi prevede di norma sempre l'affido congiunto, o l'ostracismo dei genitori dei compagni e compagne di scuola di Alice (che non si capisce bene quanti anni abbia se vada alle materne piuttosto che all'asilo o già alle elementari) raccontati da Maria en passant sono presentati nel testo non come il segno di una parte di società omofoba e retrograda ma come una reazione generale di tutta la società, reazione negativa da criticare sì, ma comprensibile a causa di una opzione affettiva ancora poco compresa, ben diversamente dalla società contemporanea dove l'omogenitorialità trova sempre più spazio e legittimazione anche in Italia dove i problemi non sono solo quelli delle coppie di fatto dello stesso sesso ma di tutte le famiglie fuori del matrimonio che in Italia non hanno ancora una dimensione giuridica.
Così usando la retorica della donna esclusa perchè ama un'altra donna si passano delle informazioni inesatte come quando Maria prova a denunciare il marito per stalking e si sente rispondere dai carabinieri che non c'è reato, quando uno dei problemi maggiori dei maltrattamenti delle donne, preludio al femminicidio, è proprio la mancata denuncia da parte delle vittime, secondo una dolorosa reazione emotiva e psicologica che, pur di non ammettere che la persona che amano e accanto alla quale vivono possa essere così delinquentemente violenta, finiscono con l'autoconvicersi che certe reazioni violente in fondo se le meritano.
Insomma come "inchiesta" Ex moglie si innamora “da morire” di ex moglie ci dice poco e male lasciando intendere che la società e le istituzioni continuino a non fare niente quando invece qualche timido ma concreto passo in avanti è stato fatto.
Da questo punto di vista il personaggio di Maria è narrativamente costruito secondo una fatalistica ineluttabilità che sembra non lasciarle spazi di manovra invece di offrire delle alternative, indicare una via altra, fornire un know how fatto anche di solidarietà.
Maria sembra subire il ménage familiare senza pensare davvero di potervisi sottrarre. Così ci racconta di avere accettato il matrimonio in chiesa anche se lei non lo voleva, di accontentarsi di passare le sere davanti la televisione a vedere film invece di uscire almeno qualche volta come le piacerebbe. Anche la
gravidanza sembra subita o, comunque, non voluta.
Questa passività nel carattere non emerge però dal monologo che, anzi, la vede attiva e energica nel criticare, fare battute, sciorinare generalizzazioni sul marito (gli uomini sono così).
Purtroppo l'unica ribellione di cui Maria è capace sembra tradursi in un odio vendicativo nei confronti del marito quando, in seguito ai commenti omofobi dell'uomo, esprime violentemente il desiderio di
sottrargli la figlia, più come punizione che per difenderla, tanto da farne la chiusa dello spettacolo quando, ancora sgorgante di sangue per mano del marito, gli dice che la figlia non gliela faranno
vedere più.
Ex moglie si innamora “da morire” di ex moglie si compone di molte anime e molte voci, non tutte ugualmente riuscite o precise, ma tutte efficaci nell'inchiodare le donne e gli uomini dinanzi una responsabilità collettiva che ci riguarda tutte e tutti come ricorda il bel video proiettato dopo la fine del monologo e il fiume di applausi, mai sufficienti, per tributare l'immensa bravura e umanità di Francesca Romana Miceli Picardi, nel quale uomini e donne ribadiscono uno slogan significativo Non con il mio nome. Non con il mio silenzio assenso che è anche il titolo di una raccolta fondi di autofinanziamento per lo spettacolo, che si è svolta a Roma lo scorso due marzo.
Perchè il femminicidio non è l'accidente di qualche scheggia impazzita della società ma il prodotto di una mentalità maschilista che vede la donna una proprietà e che come tale può essere trattata anche con violenza.
Al di là del risultato il testo si fa latore della drammatica denuncia di un comportamento condiviso da bloccare con tutti i mezzi possibili.
Il fatto stesso che Maria racconti della sua morte trasforma quel femminicidio in una testimonianza che si apre alla speranza che questo atto di barbarie possa finire al più presto.
Prosa
- EX MOGLIE SI INNAMORA “DA MORIRE” DI EX MOGLIE -
Quando una donna prova a esistere per sè
Visto il
03-04-2013
al
Lo Spazio - Sala Grande
di Roma
(RM)