"Non lo so quando le cose sono cominciate ad andare male".
È così, nessuno può saperlo. Nessuno sembra capire quando due persone hanno cominciato ad allontanarsi, seguendo quella parabola un po' banale e spesso eccessivamente sofferta che viene disegnata nella quotidianità, così spesso dopo qualche tempo di convivenza, a qualunque titolo.
C'entra la politica? Oppure i futili motivi? O i calzini, a righe verticali e multicolori?
“Exit” non fornisce la spiegazione, e questa è probabilmente la migliore soluzione che sta alla base del lavoro di Fausto Paravidino, perché rimanendo al di sopra di quei tratti che pure sembrano essere i veri protagonisti di una vera psicopatologia della relazione, riesce invece a rimanerne fuori, centrando il punto vero, che non è certo quello delle persone con i loro bisogni, equivoci e tardive comprensioni del proprio Io, bensì quello della relazione stessa.
E lo fa rappresentandolo in maniera accurata, anzitutto sottile, grazie alla narrazione del dettaglio, ma anche fortemente efficace, grazie ai due personaggi senza nome, A e B, dei quali Sara Bertelà e Nicola Pannelli esaltano l'inconsistenza degli spunti di litigio e/o incomprensione, riuscendo a far percepire la vera inanità delle cose, trasmettendo la prigionia al loro interno, lo stress di un inutile sforzo di spiegarsi i motivi delle cose, ed esprimendo ottimamente con le loro espressioni l'assoluta esagerazione di quanto e come consideriamo (o non consideriamo) oggi una relazione interpersonale.
Una storia a suo modo soave ma terribilmente reale ed ultramoderna (bello il riferimento ad una politica priva di punti di riferimento offerto dalla lettura dell'edizione del 22 aprile 2012 de Il Manifesto sulle elezioni francesi, quella della prima pagina “Sarko-fago”...), con alcuni spunti di scrittura notevoli nella loro essenzialità, e che colgono la precisione dei vari momenti di smarrimento:
"Non si può andare avanti così...” "Così come?"
“Non si sa come andare avanti perché sono tutte declinazioni della stessa cosa”
“Il peggio è quando cerchi di dare un nome, alla Cosa”
“Le cose non sono mai semplici come minacciano di essere...”
Forse solo nell'amicizia, sembrano ritrovarsi i frammenti perduti della vicinanza, quella che siamo ogni giorno costretti ed orientati a cercare invece nelle relazioni. Una storia che registra elementi di conflitto reciproci di una tale inutilità, che perfino un manuale americano (Ricostruirsi una vita in 10 mosse sicure), uno dei tanti pseudo-psicologici/comportamentali/motivazionali, basta per mettere un minimo di ordine nella vita di Lei, che entra nel mondo dei reduci, mentre quella di Lui cerca di recuperarsi invano in un'altra relazione, con una delle sue studentesse: ma le intercapedini dell'anima sono incapaci di comprendere, e gli elementi della propria personalità ancora da affermare ottundono anche i sensi di una possibile amicizia, come nella perfetta, classica telefonata in cui qualsiasi cosa dici, ti sbagli, perché prevale il doversi fare del male.
Interessante anche la divisione delle scene in Affari Interni, Affari Esteri o In Europa, sempre circondate da una scena pulita come lo spazio che meritano le parole; tempi perfetti soprattutto nella parte finale, in cui si incrociano eventi, dialoghi e narrazione, grazie anche agli altri due personaggi, C e D (Iris Fusetti e Davide Lorino); un linguaggio diretto e concreto che riesce a rimanere delicato, e situazioni che sebbene esilaranti, non sconfinano mai in una ironia che sarebbe suonata inutile.
Perchè non ci sono, vie d'uscita; ci sono, forse, soltanto migliori vie d'entrata.