Tre storie e cinque personaggi ruotano intorno a una costruzione drammaturgica funambolica, sospesa tra realtà e visione, dove il mondo del quotidiano perde consistenza a favore di una dimensione onirica e simbolica molto più intensa e vissuta, cui appartiene il nucleo della storia.
Anna e Claudia, unita ad Andrea con un rapporto superficiale, sono legate da un’amicizia che viene messa a dura prova quando la prima perde il marito in un incidente e decide di rinunciare alla propria identità e alla propria vita per perdersi in un limbo di dolore, mentre in una dimensione di nessuno Eva e il suo cavaliere Matteo cercano una via di fuga da una prigione che non si può vedere, alla ricerca di un Graal immaginario, ovvero un’unica, semplice parola, ma terribile per i sacrifici che richiede.
Una contaminatio costante di generi e di tematiche intreccia i fili del testo di Luigi Giungato: l’elaborazione di un lutto, due amiche la cui vita specularmente opposta appare vuota e sterile, un’avventura che come un gioco di ruolo appare dal nulla, dove niente e soprattutto nessuno è chi sembra. Dalla narrativa contemporanea al fantasy di genere, all’introspezione drammatica fino al linguaggio e alla violenza contemporanee, l’intreccio drammaturgico non concede il tempo di dipanare una matassa che va complicandosi verso la fine, quando Eva e il suo cavaliere, alla fine del loro periglioso viaggio, giungono infine a riunirsi in qualche modo alle storie di Claudia e Anna, dove quest’ultima verrà uccisa dal suo doppio (Eva), per poter infine rinascere e simbolicamente uscire dal suo guscio di dolore. C’è veramente molta, troppa carne al fuoco, considerando anche un’improbabile confezione saffica finale tra le due amiche.
Le difficoltà più evidenti sorgono proprio nell’adattamento e nella messa in scena teatrale di un testo che, per la sua complessità e per l’uso che fa del racconto e del linguaggio, non lo è affatto.
La regista Veronica Renda riesce del suo meglio a far convivere i due livelli, quello del quotidiano dove Anna vive il suo lutto e Claudia il suo difficile rapporto con Andrea, con quello simbolico del viaggio (anche divertente a tratti) di Eva con il suo cavaliere Matteo, con una sorta di cucitura che sacrifica l’unità narrativa e spaziale alla verità dei sentimenti e delle figure coinvolte, soprattutto quelle immaginarie, che per legge di contrappasso, paiono vivere una vita e una dimensione molto più vere e convincenti.
Ai cinque giovani attori viene chiesto dal canto loro un’interpretazione che dietro al personaggio proposto possa in qualche modo farne vedere un altro, o il suo specchio. E se il “faccia a faccia”, la complementarità di Anna ed Eva viene facilmente intuita proprio dai legami dolorosi e inevitabili che le guidano nel loro percorso di liberazione, più sottile e nascosto appare il sentimento che lega Claudia ad Anna: Claudia è forse l’unica che si rende conto subito dello schema del gioco, che coinvolge oltre al cavaliere Matteo, anche l’inconsapevole Andrea, che viene quasi spinto tra le braccia di Anna, in un crescendo di esasperazione e gelosia, facile veicolo alla violenza finale.
L’opera cui si assiste alla fine, certo, appare non del tutto compiuta, fondamentalmente imperfetta, con slabbrature a livello drammaturgico che costringono lo spettatore a un costante inseguimento mentale per stare dietro ai vari intrecci narrativi, ma comunque rispecchia un’ideazione e una creazione originali, con una regia fresca e attenta al lavoro degli attori, ancora giovani ma con un buon potenziale, cui giova una messa nello spazio tratteggiata dalla scenografia essenziale ma efficace di Alessandro Calabrese, e dalle coreografie aggraziate di Heera Carola.