Falstaff, tra i celebri personaggi shakespeariani è uno dei più misteriosi e complessi, figura essenzialmente comica, Falstaff ha in sé anche caratteristiche più profonde, con una commistione di generi che è frequente nei drammi del Bardo.
Il percorso di Falstaff dalla commedia alla tragedia è stato ripreso successivamente anche da Arrigo Boito nella stesura del libretto dell'omonima opera verdiana.
Singolare come tra le opere shakespeariane non ci sia un testo che porti il suo nome nel titolo, appare nelle due parti di Enrico IV e con un’appendice ne Le allegre comari di Windsor per poi essere nominato in Enrico V, per diventare un protagonista assoluto dovrà aspettare la genialità dell’ultimo Verdi.
Per la creazione del personaggio di Sir John Falstaff, un cavaliere grasso e vanaglorioso, Shakespeare s'ispirò a sir John Oldcastle, militare che guidò le milizie inglesi durante una fase della Guerra dei cent'anni e che fu ucciso sotto il regno di Enrico V.
«Falstaff» è una delle figure più affascinanti di Shakespeare, una sorta di leggenda teatrale, uno dei ruoli più ambiti dai grandi attori, come Orson Welles che riservò per sé il ruolo di protagonista nella versione teatrale e in quella cinematografica.
Il Falstaff di Andrea De Rosa e Giuseppe Battiston sulla carta aveva il potenziale per essere un’occasione per superare l’immagine del personaggio che viene data dai testi shakespeariani e dalla versione operistica di Verdi. L’intento di De Rosa era di tratteggiare una nuova immagine di Falstaff, di ricreare il personaggio da un punto di vista drammaturgico.
Il testo di De Rosa è complesso e articolato, prende spunto dal personaggio creato da Shakespeare, ma s’ispira anche al libretto che Arrigo Boito scrisse per Giuseppe Verdi, all’«Enrico IV» e «Enrico V» del Bardo, con incursioni in «Così parlò Zarathustra» di Friedrich Nietzsche e in «Lettere al padre» di Franz Kafka e perfino nella sceneggiatura di “Belli e dannati” di Gus Van Sant. È un lavoro che nasce dal desiderio di far comunicare il mondo di Shakespeare con la nostra contemporaneità. L’adattamento è curato dallo stesso regista, Andrea De Rosa, in collaborazione con Nadia Fusini che ha lavorato alla traduzione all’elaborazione dei testi.
Chi si è accostato a vedere questo spettacolo lo ha fatto con notevoli aspettative, alimentate dalla curiosa intelligenza del regista e dall’indiscussa bravura del noto attore, Giuseppe Battiston. Purtroppo in parte le aspettative sono state disattese.
Il copione è impegnativo e ricco di spunti letterari e filosofici, ma non sembra trovare il suo equilibrio con il linguaggio e le ragioni della scena: è uno spettacolo fin troppo parlato – sebbene in maniera impeccabile, e l’azione rimane in divenire, non trova un suo sviluppo, “l’amore sfrontato per la vita, che si manifesta soprattutto nella forma dell’amore per la lingua, per le parole, per il motto di spirito, per la creazione instancabile di metafore e giochi linguistici...” come scrive De Rosa purtroppo non si traduce in un linguaggio scenico efficace e riconoscibile.
È uno spettacolo non completamente riuscito, nonostante avesse tutti i presupposti, da un testo intrigante e ben scritto, a un cast di attori talentuosi, da un regista illuminato e originale a un impianto scenico di forte impatto visivo, con soluzioni sceniche originali.
Le scene e costumi sono state curate da Simone Mannino, le luci sono di Pasquale Mari, il suono di Hubert Westkemper e i movimenti scenici di Francesco Manetti. Accanto a un immenso Battiston (nel doppio ruolo di Falstaff e Enrico IV) troviamo Gennaro Di Colandrea (Bardolph), Giovanni Franzoni (Giudice Supremo), Giovanni Ludeno (Pistola), Martina Polla (Doll), Andrea Sorrentino (Principe Hal/Re Enrico V), Annamaria Troisi (Doll), Elisabetta Valgoi (Ostessa), Marco Vergani (Ned). L’intero cast è costituito da attori intensi e vibranti, in uno stato di grazia, caratterizzati da una nota di voluto eccesso – tutti hanno un qualcosa che li rende in qualche modo esagerati ed eccessivi.
Celebre per essere un bugiardo dedito ai vizi, tessitore di false speranze e di inganni, ma anche di affetti, il Falstaff interpretato da Battiston è decisamente più “giovane” rispetto all’iconografia classica, e spesso mostra un estrema umanità – per esempio quando viene assalito dal rimpianto del ricordo di quando era “un paggio del duca di Norfolk, sottile, sottile”. Battiston indossa un enorme ventre, che è una protesi da indossare come una sorta d’armatura non solo protettiva perché, si sa, “il corpo è più importante dell’anima”.
Molto interessante il rapporto tra Falstaff/Battiston e il Principe Hal/Andrea Sorrentino, infatti al centro dell’adattamento di De Rosa c’è il rapporto padre/figlio, Giuseppe Battiston interpreta sia il ruolo di Falstaff che quello di Enrico IV.
Il giovane principe Hal, futuro re Enrico V, viene attratto e totalmente assorbito nella taverna-bordello di Eastcheap, quartier generale di Falstaff e della sua scombinata banda di amici, nella quale trascorre anni di perdizione, in un turbine di vino, rapine, scherzi, sesso, parolacce, insulti, musica, caos. Ma la guerra incalza e Hal non può più rimandare l’incontro col padre morente, re Enrico IV e col suo destino di futuro re.
Assistiamo al difficile e doloroso passaggio di Hal da un padre all’altro, da un mondo all’altro, dalla leggerezza e incoscienza di Falstaff alla serietà, al rigore e all’impegno che il rigido Enrico IV impone a sé stesso e al figlio.
Il sovrano morente, Enrico IV, porta sulle spalle il fardello del potere, del regno e della guerra, ma di fronte al figlio Hal è solo un uomo, un padre che cerca di spigare quali saranno i suoi doveri e i suoi obblighi in quanto futuro re. Hal non è solo una vittima ma spesso un compagno e complice della vita sregolata e viziosa condotta da uomini come Falstaff. Morto il padre, Hal divenuto re Enrico V, rinnega la vita passata e ripudia i vecchi amici, in primis Falstaff. Infatti il re non lo vuole più con sé, poiché Falstaff è l’emblema e il simbolo di quegli anni che non vuole più ricordare e che è opportuno che nessun altro ricordi. “Morto per il re, e morto quindi per tutti, Falstaff perde ciò per cui viveva: il piacere folle di trascorrere il tempo sconsideratamente con gli amici”.
Il Falstaff di De Rosa, coprodotto da Fondazione del Teatro Stabile di Torino e da Emilia Romagna Teatro Fondazione, è un operazione forse troppo intellettuale, con un notevole potenziale che non è riuscito ad essere sfruttato a pieno.