Prosa
FANGO E COGNAC

A volte il cognac è necessario più delle baionette

A volte il cognac è necessario più delle baionette

La guerra che verrà non è la prima… assicura Brecht in uno dei suoi più celebri versi e oggi, a cento anni dalla prima delle guerre mondiali, sappiamo quanto le parole del drammaturgo di Augsburg siano state profetiche.


Questo è l’anno delle commemorazioni, si vagliano a fondo le cause della Grande Guerra, si discute delle strategie e degli accordi politici, si passano al setaccio le conseguenze sull’assetto europeo e naturalmente nelle scuole proliferano i dibattiti, la televisione rimanda pellicole in bianco e nero, il cinema si incarica di produrne di nuove.

E il teatro? Il teatro fa la sua parte, come può e per quanto può. E quasi sempre sceglie la via che gli è più consona, quella di esplorare i sentimenti, le fragilità degli uomini soldato e le assurdità degli uomini colonnello, le microstorie nella macrostoria, le tranches de vie insomma che intrecciano destini piccoli e grandi, buttando tutto nel bollente calderone di una guerra pazza quanto lo sono tutte le altre.


E’ così anche per Fango e Cognac lo spettacolo di Teatro Bresci, diretto da Giorgio Sangati e interpretato da Giacomo Rossetti, andato in scena al Teatro Fondamente Nove nell’ambito di Sperstart, il progetto di teatro off promosso dal Teatro Stabile del Veneto.


Un titolo accattivante che rimanda alla terra degli altopiani lungo i confini di un’Italia divisa nelle ore immediatamente precedenti allo scoppio delle ostilità, “ero un interventista io…” dichiara il protagonista, ma sempre più unita con il passare degli anni nell’incredulità di fronte a un evento sempre più folle. Una terra imbiancata dal gelo e dalla neve, bagnata dalla pioggia che la rende fango, ma soprattutto dalle generose sorsate di liquore da tracannare durante le giornate di trincea. Il protagonista dello spettacolo, anonimo, come tutti coloro che sono caduti sul fronte, non beve e un graduato degli alpini, di cui ha rifiutato la bottiglia, gli spiega che senza il cognac la guerra finirebbe da un momento all’altro: il cognac è necessario più delle baionette.


Rossetti dà voce intensa e commossa al nostro soldato, unico protagonista in scena, lo conduce attraverso una serie di incontri con personaggi che inevitabilmente lascerà sul terreno o in un ospedale da campo, la sua solitudine, condita dall’illusione d’amore per una bionda ragazza di Marostica, diventa nel corso dello spettacolo la sua principale cifra, al punto che nell’ultima scena imbraccia la cassa militare come se fosse il suo unico avere e scompare nel buio che cala inesorabile.

Il mondo della guerra non è quello dei grandi proclami, quelli semmai si sono già consumati nella propaganda, ma quello di pinze che dovrebbero tranciare reticolati ma che non funzionano, di professori di greco dall’accento spiccatamente emiliano finiti a fare gli aiutanti di campo, di licenze consumate troppo in fretta, di lettere d’amore affidate prima di un assalto a chi potrebbe consegnarle al posto di chi muore, dell’indecisione dei graduati, della frustrazione dei semplici soldati. La guerra insomma prima di distruggere gli imperi consuma gli uomini, li rende incapaci perfino di organizzare il proprio coraggio: ed è proprio questo il maggior pregio dell’interpretazione di Rossetti, il suo continuo oscillare tra determinazione e paura, tra decisione e smarrimento.


Tuttavia, lo spettacolo si affida in maniera esclusiva alla narrazione, tutto o quasi tutto viene raccontato in quella terza persona che sa fin troppo di letteratura, mentre sulla scena accade ben poco. Un lungo racconto, punteggiato dagli stupendi cori alpini sommessi ma prepotenti al tempo stesso, che steso su una pagina forse avrebbe avuta migliore destinazione, mentre in una messa in scena mostra tutti i suoi limiti. La storia del nostro soldato inizia e finisce tra le parole, la tensione scenica, nonostante la bella prova di Rossetti, fatica a decollare e a trovare il coinvolgimento del pubblico.


Non aiutano le luci che a tratti appaiono un po’ confuse, mentre l’impianto scenico nella sua essenzialità fa da giusto contrappunto alla fragilità del protagonista.

Visto il 27-01-2015
al Fondamenta Nuove di Venezia (VE)