Quanto ci è mancata la musica dal vivo! A conti fatti, al Teatro La Fenice s'è dovuto attendere più di otto mesi per riammettere il pubblico in sala a godersi della buona musica. In questo caso quella del Faust di Gounod, titolo mancante da quasi trent'anni e programmato più volte, ma sempre forzatamente rinviato. Ma se ora l'orchestra fa rientro in buca, la platea resta ancora riservata alla troupe canora; e quindi non molti privilegiati prendono possesso di palchi, galleria e loggione. Con l'auspicio comune che quanto prima – Covid 19 permettendo – si torni ad una quasi normalità, rioccupando almeno un po' di poltroncine.
Una grande chiesa, in cui tutto accade
L'allestimento scenico è interamente consegnato – scenografie, costumi, regia - ad Joan Anton Rechi, per due drammaturgie differenti: questa, che tiene conto delle limitazioni attuali, e quella che vedrà la luce nel 2022, in condizioni si spera normalizzate. Procede con una certa ortodossia, il metteur en scène andorrano, prendendosi comunque qualche libertà come aprire l'opera in un immaginario santuario, che subito dopo ospita un affollato matrimonio che sostituisce la kermesse cittadina. Uno spazio che, con poche variazioni, ci accompagnerà sino alla fine; unici oggetti in scena, dieci banchi da chiesa continuamente spostati, messi dritti, di traverso, di lato.
Nella scelta di costumi di pieno '800, Rechi sceglie di rifarsi apertamente alle atmosfere viscontiane di Senso, così che vediamo vaporosi abiti femminili, e Valentin ed i suoi compagni d'arme diventano azzimati ufficiali austriaci. Poco o niente di clamoroso in questa drammaturgia, comunque, che porge un andamento tranquillo, ben coordinato nei movimenti, ma con poco glamour.
Non solleva le sorti dello spettacolo la concertazione di Frédéric Chaslin, alla guida di un'orchestra purtroppo dimezzata negli archi per le necessità di distanziamento, fatto che non giova certo allo spessore strumentale. Per di più il maestro parigino si trova a dirigerla da un angolo della buca, scapicollandosi a tener d'occhio interpreti e coro sparsi alla sua sinistra. E qualche volta pure a destra, sul palcoscenico vuoto. Risultato, un suono generale evanescente e colori poco scintillanti, alla faccia della vellutata grandeur della partitura di Gounod. Quanto alla concertazione in sé, non c'è da entusiasmarsi: molto metronomo e poca libertà; dinamiche un tantino piatte, accentrate intorno al mf; sfumature e colori, scarsi; irruenza e senso del ritmo, modesti.
Un Faust che giunge dal Perù
La morbidezza di timbro, la luminosità di voce, gli acuti svettanti, la ricchezza di armonici giovano decisamente al Faust di Ivan Ayon Rivas, tecnicamente ben cesellato anche nelle amplissime arcate melodiche di «Salut demeure chaste et pure». Gli si può addebitare, al massimo, solo un certa timidezza psicologica, a fronte di un personaggio così complesso ed impegnativo. Alex Esposito si conferma incline ancora una volta alla perfetta resa di personaggi satanici disegnando per noi, con un'emissione ben solida, un Méphistophélès di bronzo dorato, morbido e maestoso, compatto e omogeneo nell'intera gamma.
Carmela Remigio consegna una Marguerite a due velocità: voluttuosamente languereuse nella scena del giardino, ed infine intensamente tragica in quelle della chiesa e della prigione; ma l'ingenuità di «Il était un roi de Thulé» e la grazia coquette de l'air du bijoux ahinoi le sfuggono, e non trovano nelle sue corde vocali convincente realizzazione.
Parti di fianco assegnate con intelligenza
Molto chiaro timbricamente il Valentin di Armando Noguera, argentino di nascita ma naturalizzato francese, rivelandosi un tipico baryton-martin; l'emissione è scorrevole, la condotta forse non sempre impeccabile; ma in compenso sa come tenere la scena. Canta con molta finezza e dolcezza Paola Gardina, rendendo a meraviglia la timidezza adolescenziale del non facile ruolo di Siébel. La petulanza senile di Marthe è ben realizzata da Julie Mellor; tratteggiato con bella abilità da William Corrò un Wagner ubriaco e un po' vigliacco.
Il Coro preparato da Claudio Marino Moretti non sembra aver risentito della forzata inattività, e si è mostrato perfettamente adeguato. Abili giochi di luce di Fabio Barettin.