Antica e al contempo modernissima la Fedra portata in scena dalla poliedrica Galatea Ranzi per la regia di Consuelo Barilari e testo di Eva Cantarella, grecista di fama che avvalendosi delle interpretazioni del mito mutuate dalle opere di Euripide, Seneca, D’Annunzio e Racine struttura una drammaturgia gravida di implicazioni con l'oggi a cominciare dall'ovvia universalità delle passioni. L'eros della sventurata sposa di Teseo che perde la testa per il figliastro Ippolito costituisce il modello mitico dell'infedeltà coniugale e del contrasto tra il senso del dovere, l'etichetta sociale e la passione non controllabile. Una saga tragica qui cucita con il presente da un filo rosso che testimonia come l'Antica Grecia, oltre che di arte sublime, cultura e civiltà, sia la culla della cosiddetta “differenza di genere”.
Risorta dalle ceneri che la imprigionavano nel testo arcaico, la nostra eroina rivendica allora il diritto di amare in uno spazio scenico multimediale circoscritto da due enormi tulle dove sono proiettate immagini ispirate al film “Phedra” di Jules Dessin (1961) e altri bellissimi effetti fatti di luci, ombre e multi dimensionalità. Una sorta di video-scenografia a creare un gioco di sovrapposizioni visive e sonore che non si limita ad accompagnare il dramma ma che si fonde con l'incisiva recitazione della Ranzi per diventare elemento costitutivo della pièce.
Il bel Ippolito è appena morto in un tragico incidente, il giovane corpo disperso tra le onde del mare. Fedra, voce e anima avvolta dalla solitudine del palcoscenico, rivive come in una sorta di flashback la dolorosa vicenda che l'ha coinvolta e sconvolta. Accanto a lei solo le proiezioni della sua stessa mente, fantasmi in veste di personaggi del mito, dolori che incatenano e tengono la donna prigioniera in uno spazio “medio” rigorosamente isolato dal pubblico. L'intimità di un personaggio che si scopre con violenza perché violenta è la sua storia, è come intrappolata dietro il vetrino di un microscopio che mette a fuoco persino le più sottili emozioni. A ciò concorre la recitazione quasi cinematografica della Ranzi che, in uno spettacolo in cui già di per sé il cinema contamina il teatro, è capace di portare quella realtà nera e amarissima su un fragile confine tra mito del passato e vita quotidiana. Un ritratto particolare e suggestivo di Fedra la luminosa.