Prosa
FEDRA

Il furore di Fedra tra amore e follia

Il furore di Fedra tra amore e follia

Da sempre il mito ha indagato ma soprattutto raccontato il groviglio profondo dell’agire umano. E’ la sua narrazione a renderlo immortale. Così è per Fedra. Questa creatura audace e ferina il cui desiderio incestuoso per il figlio Ippolito aveva ispirato Euripide e Seneca torna nell’allestimento essenziale e onirico di Andrea De Rosa, dove uomini e divinità confondono i loro passi, mentre vita e morte non si distinguono più.

Tutta colpa dell’amore
Fedra ama Ippolito, Ippolito la caccia, Teseo le oscure ombre del Tartaro, Venere i suoi capricci. L’amore genera scontri e determina aspirazioni. Come tutto gira intorno all’amore, così per De Rosa tutto ruota intorno ad un cubo dalle vetrate trasparenti che diventa reggia, confessionale, alcova del tradimento e infine gelida sepoltura della protagonista. Luci violente elettrizzano la scatola vitrea, mentre il resto della scena è lasciato nella penombra di Ade e in proscenio Venere (?) se ne sta accoccolata sullo sgabello divertendosi a manovrare il deflagrante destino di questa vicenda. Il destino è bizzarro e sonoro,  penetra sotto forma di diapason dalla nota lunga,  eco ridondanti, fiati amplificati da microfoni che affollano la scena e che rimandano ansia, tragedia e disperazione. Laura Marinoni è una Fedra furente e determinata anche nella vendetta. Il destino non la spaventa, gli intrighi di Venere non la rendono vittima, ma ne esaltano il furore.

E se non è amore, è furore                                                                                                                       
Che cos’è questo furore che impregna le azioni degli uomini? E’ solo pazzia che apre la strada all’incesto e conduce l’uomo sull’orlo dell’abisso? Il furore è il rigido disprezzo che ha per le donne Ippolito, ma anche l’istinto sacrificale con cui una ragazza gli si offre denudandosi in una scena di grande impatto e fisicità, furore è la disperazione di Teseo che sente irrevocabilmente la mancanza del figlio di cui ha voluto la fine, furore è il totem innalzato sul proscenio con il tronco mutilato di Ippolito, furore infine è la calma sprezzante con cui Anna Coppola disegna una divinità con movenze snobistiche. Tutto è furore, perfino il coltello piantato sulla porta del cubo/gabbia con lo stesso vigore con cui possiamo immaginare che Fontana tagliasse le sue tele, un coltello che è il segno di una ferita profonda e dolorosissima. Furore è un orizzonte che non appaga, un punto di non ritorno. Si può tornare dall’Ade, ma non si può tornare dalle profondità di se stessi. E gli dei? Dove sono gli dei? Ce lo spiega un’epistola di Seneca con cui la divinità chiude lo spettacolo. Dio è in tutti noi e intorno a noi, dunque non sono gli dei che ci forniranno alibi. E’ come se l’ultima parola tornasse a Beckett: “siete al mondo, non c’è più rimedio”. Ogni uomo può essere Fedra, esistere è un continuo equilibrio sopra la follia. Nient’altro che furore insomma.
 

Visto il 26-03-2017
al Carlo Goldoni di Venezia (VE)