Prosa
FEDRA

Una Fedra riuscita

Una Fedra riuscita
Testo difficile da mettere in scena per la sua natura spiccatamente letteraria (anche le didascalie, che dovrebbero essere al servizio della drammaturgia, costituiscono un cantuccio lirico) Fedra di Gabriele D'Annunzio, scritta giusto 100 anni fa in un periodo di gravissimi problemi finanziari per il suo autore, fece un clamoroso fiasco sia alla sua prima milanese alla Scala di Milano sia alla ripresa, con la stessa compagnia, all'Argentina di Roma. Il tema della matrigna innamorata del proprio figliastro, che, respinta, lo accusa di stupro, condannandolo a morte per mano divina, è risolta da D'Annunzio in maniera originale rispetto i precedenti modelli, quello classico euripideo e quello più vicino di Racine. La Fedra dannunziana si distingue dal punto di vista scenico, per le sue apparizioni ad effetto, le sue pose teatrali (minuziosamente descritte in didascalia) sia per il carattere, la sua altera impavida aurea di sfida, senza vergogne né pudori, oltre che per la lingua bellissima ma difficile di D'annunzio, che restituire così, grazie a una certa rigidità stilistica, la compostezza della tragedia greca da cui si ispira. Un arduo compito per chiunque cerchi oggi di mettere in scena un testo così diverso, soprattutto per un pubblico come quello contemporaneo così a digiuno sia di italiano aulico che di cultura greca (la tragedia è ricchissima di citazioni a situazioni, culti, miti greci). Claudio di Scanno e Susanna Costaglione della compagnia Drammateatro hanno affrontato un lavoro di messinscena che farebbe tremare i polsi a molti proponendo un allestimento interessante, ed essenzialmente riuscito, che ha debuttato in prima nazionale il 22 aprile c. a. al teatro Michetti di Pescara. Susanna Costaglione ha ridotto la tragedia (che nella versione originale sfiora le quattro ore) a una durata più abbordabile di due ore (riducendo gli atti da tre a due, anche se il terzo è brevissimo confrontato ai primi due). Operazione discutibile quanto si vuole ma necessaria e che vale il gioco per i risultati raggiunti. Una scena semplice e suggestiva (di Ennio Tinari) vede una schiera di candelabri accesi di proscenio e una struttura di legno praticabile bianca, a scalini, sulla quale prendono posto gli attori, mentre sullo sfondo la Luna si fa sempre più fina diventando quasi nuova. La musica, sia registrata che eseguita da vivo (una delle attrici suona una sorta di carillon prima e un violino poi) costituisce un vero e proprio personaggio non limitandosi a mero commento ma proponendosi come vero e proprio correlativo armonico che misura la temperatura del dramma. I costumi, indovinatissimi (di Marta Crisolini Malatesta), riconducono la tragedia all'epoca in cui è stata scritta: non retorici pepli ma divise e vestiti fin de siècle con alcuni accenni di esotismo classicheggiante (i bellissimi copricapi dalle generose tese che sostengono dei veli purpurei, cinti dalle supplici che aprono il primo atto). Tutti gli attori sono sempre in scena, assistendo alla performance dei colleghi quando i loro personaggi non sono chiamati a recitare, in una sorta di collettivizzazione del dramma che restituisce con grande intelligenza il senso drammaturgico delle scene originali pensate da D'annunzio, oggi improponibili (Dipinto a liste a rosette a meandri di color variato appare il peristilio che precede la dimora delle donne (...). Si scopre nel lato orientale fra due ante lo splendore del Mare Saronico per mezzo della selva di antichi cipressi...). In disparte, seduti su moderne sedie o in piedi intorno ai personaggi in scena gli altri attori sostengono, incentivano, ripetono parole, amplificano la sonorità di un dramma in versi. Susanna Costaglione è grandiosa nel restituire la poesia dannunziana con naturalezza e credibilità. La sola presenza scenica è sufficiente a fornire la credibilità per incarnare il senso di un verso difficile, colto, che grazie alla sua recitazione (a togliere mai troppo enfatica anche se energica) diventa comprensibile, fruibile, fruibile dal pubblico. Il primo atto, nel quale Fedra si estasia (per usare un verbo caro al Vate) del sacrificio d'amore di Evadne (la sposa di uno dei sette caduti a Tebe) è un miracolo di perfezione tra testo, messa in scena e recitazione, per tutte le interpreti femminili (specialmente, oltre che per Susanna, per Cristina Golotta, nel ruolo di Etra) un po' meno Silvia Pietta troppo moderna nella recitazione, nel fraseggio, nella postura nell'interpretare la schiava tebana portata in dono a Ippolito che Fedra, ingelosita, uccide (invenzione dannunziana assente nel mito originale). Il secondo atto, dove avviene il dramma (Fedra bacia Ippolito dormiente e questi si disgusta a tal punto del bacio matrigno da nettarsi la bocca con la mano) presenta qualche forzatura nel carattere dei personaggi maschili. L'Ippolito di Pino Censi è troppo bambinesco, troppo ragazzo viziato, reso con una recitazione troppo disinvolta, in lui la poesia del verso si perde in una prosa che stona col resto della messa in scena. Anche il Tèseo di Raffaello Lombardi insiste un po' troppo sul registro strillato (come Ippolito del resto) in contrasto con la recitazione e l'aura classica della Fedra di Costaglione. I personaggi maschili tradiscono troppo l'età della messinscena cercando in un vissuto freudiano quel che invece Susanna Costaglione sa trovare nella sola autorevolezza della sua presenza scenica. Ma lo spettacolo funziona e si rimane incantati dall'efficacia drammaturgica del verso dannunziano. Un allestimento più che ragguardevole sia per lo sforzo richiesto agli attori che per l'uso intelligente dei mezzi scenotecnici usati al massimo pur partendo da un budget modesto (come non si può fare altrimenti in tempi di così drammatici tagli al Fus). Uno spettacolo di attori ai quali il regista Claudio Di Scanno lascia (in qualche caso forse troppa) autonomia. Drammateatro si distingue per un una ricerca teatrale che sa coniugare amore per il classico con le istanze di un teatro contemporaneo che, ripartendo dall'attore, prende le distanze da certi eccessi registici con velleità autoriali. Il teatro è un collettivo dove regista e attori contribuiscono alla riuscita della messinscena. E questa splendida Fedra riesce pienamente a coinvolgere il pubblico e ad avvincerlo con un testo arduo e impervio.
Visto il 04-08-2009
al Villa Doria Pamphilj di Roma (RM)