Lirica
IL FLAUTO MAGICO

Il Flauto magico di Vick divide lo Sferisterio di Macerata

Flauto magico
Flauto magico © Alfredo Tabocchini

Uno spettacolo in puro stile Graham Vick quello presentato in apertura di cartellone al Macerata Opera Festival: le tematiche affrontate d questo Flauto magico sono quelle più consone al regista, l’uguaglianza nella diversità, la lotta contro i poteri forti che minacciano la libertà del popolo, la società multietnica e multiculturale.

Coinvolte, oltre al coro e ai solisti, quasi cento persone scritturate in ugual proporzione fra locali e immigrati, che hanno la funzione, in passato svolta dal coro nella tragedia greca, di colloquiare e interpretare il testo tramite interventi vocali isolati o a gruppi.

Libertà di pensiero e nuove schiavitù

Tre i modellini di edifici attorno cui ruota la vicenda, della BCE, della Apple di Cupertino, di San Pietro in Vaticano, tutti simboli dei poteri forti, abbattuti sul finale dalla saggezza umana raggiunta dai protagonisti dopo il processo di iniziazione. Su tutto veglia tacito un lampione; ai lati si animano accampamenti di tende simili a campeggi improvvisati.
L’enorme palcoscenico si popola presto di rappresentanti delle varie religioni e di gente comune, di poliziotti e di manifestanti con cartelli; i tre edifici ruotando mostrano al loro interno un armamentario di missili, un albero cui si vorrà impiccare Papageno, una enorme statua della Vergine con la bocca chiusa dal nastro adesivo.



In questo contesto la porta della Sapienza non poteva essere che quella segnata dal grande mondo di internet, forse per il regista ultima forma popolare di democrazia. Il drago iniziale è identificato da una enorme ruspa gialla, mentre Papageno è vestito da pollo di McDonald’s con un effetto straniante non privo di umorismo. E proprio l’umorismo risulta essere la cifra distintiva di questo allestimento che scorre via veloce divertendo, nonostante alcune incongruenze e la presenza di elementi forse eccessivamente distraenti.
Non sempre molto musicale, invece, il libretto in traduzione italiana di Fedele d’Amico che viene utilizzato qui come base, nonostante gli abbondanti interventi di riscrittura dei dialoghi e l’adattamento al plot di alcuni versi.


Un cast di giovani

Corretta, ma un poco generica, la direzione di Daniel Cohen che stacca ritmi ora molto distesi, ora più serrati, all’interno di una concertazione un po’ pallida di colori e sfumature. Giovanni Sala veste i panni di un Tamino dalla bella voce lirica, veemente e sicuro di sé da un lato, sensibile e ricco di sfumature dall’altro. Ottimo il Papageno di Guido Loconsolo che conquista il pubblico con la sua simpatia e spontaneità, unite a una buona dose di ingenuo candore, così da rendersi protagonista della scena: omogenea nei vari registri e ben proiettata la voce.



Estremamente garbata la Pamina di Valentina Mastrangelo che, grazie al modello materno, da fanciulla diviene donna e seduttrice, senza che mai si scalfisca l’immagine di purezza derivante dall’estrema luminosità del suo strumento. Tetiana Zhuravel è una Regina della Notte dai toni non particolarmente drammatici che, a parte una lieve incertezza, esce indenne da un ruolo piuttosto insidioso. Qualche leggera debolezza dal punto di vista vocale e da quello della recitazione per il Sarastro di Antonio Di Matteo il quale, nonostante il bel timbro profondo, palesa qualche difficoltà. Misurato e senza eccessi il Monostrato di Manuel Pierattelli, piena di vita e perfettamente in parte la Papagena di Paola Leoci.

Sul finale applausi per tutti, ma qualche palese dissenso per le scelte registiche.

Visto il 20-07-2018
al Arena Sferisterio di Macerata (MC)