"Folk-s – Will You Still Love Me Tomorrow? "è l’ultimo progetto performativo di Alessandro Sciarroni, artista originale, irriverente, con una singolare genialità che proprio in quanto tale è difficile da catalogare, dal momento che la sua poetica e la sua cifra stilistica sono lontani, o meglio, annullano le convenzioni conosciute e gli schemi costituiti, per affermarne di personali.
Folk-s si ispira allo Schuhplattler (battitore di scarpe), il ballo bavarese e tirolese che consiste nel percuotere con le mani le proprie gambe e calzature; questo lavoro nasce da una ricerca sulla danza popolare di tradizione, e partendo da esso Sciarroni ha sperimentato un particolare metodo di creazione coreografica, che ha definito «pratica performativa».
In Folk-s - Will you still love me tomorrow? la forma ancestrale di danza è presa come paradigma cui gli interpreti aderiscono come mossi da una volontà altra, lo stesso movimento e il pensiero folclorico subiscono una radicale metamorfosi, che si muove tra la reiterazione all’infinito e l’”esplosione”.
Buio in scena. Gli spettatori vengono accolti da sei danzatori bendati, raccolti in un cerchio, che producono suoni dalla ritmica rigorosa e a tratti aggressiva. Dopo una prima sessione, i danzatori si tolgono le bende e si riconoscono, i passi diventano chiari e riconoscibili e alla fine della prima sequenza coreografica uno dei performer fa una dichiarazione a un microfono: «questa danza esisterà sul palco finché rimarrà un solo spettatore in platea o un solo danzatore sul palco». Questa affermazione è una sfida, una provocazione, una dichiarazione d’intenti: Sciarroni si mette alla prova, compie un atto di coraggio non necessariamente compreso e apprezzato da tutti, ma sicuramente non ha timore di mettersi in discussione e di osare, di andare oltre.
In seguito il gruppo riprende a danzare, fino a quando - a intervalli - il loop dei movimenti viene spezzato da intermezzi improvvisati, una sorta di cortocircuito, di interruzione di flusso: brevi momenti di estrema bellezza che rompono lo schema, regalandoci la possibilità di scoprire le emozioni che si celano dietro i corpi dei danzatori che si toccano, si esplorano, un momento intimo e a tratti quasi poetico, lirico. Il cerchio si apre e si chiude in un moto perpetuo, a intervalli un performer a turno raggiunge la consolle posta al lato del palco, per azionare tracce musicali, che spaziano dalla musica da camera al pop, dalla classica contemporanea alla tecno, una sorta di irruzione, un’incursione che il mondo “reale” compie in questo limbo temporale creato magistralmente dai sei danzatori.
Sciarroni attraverso il recupero delle danze tradizionali ci offre l’opportunità di interrogarci sulle nostre radici culturali, sul loro svilupparsi e perpetuarsi, decontestualizzandole culturalmente e geograficamente e creando un legame tra gli interpreti e il pubblico, il quale inizialmente si pone in maniera scettica, si alternano momenti di curiosità e irritazione: alcuni spettatori, credendo di assistere a una sfida di resistenza, lasciano alquanto presto il teatro, altri forse non troppo coinvolti o annoiati, escono velocemente prima che finisca lo spettacolo, chi stoicamente resiste fino alla fine, poiché rapito e appassionato da questo esperimento coreografico, ha l’opportunità di percepire la forza del gruppo, il legame speciale che unisce tra loro i singoli danzatori, che si incontrano nello spazio scenico quando il cerchio si apre e le file si rompono. Progressivamente il ritmo diventa più incalzante, i passi si fanno sempre più estenuanti fino all’atteso momento in cui è un solo performer resta in scena.
Sciarroni è riuscito a scardinare convenzioni e schemi, dando vita ad “altro”, a un’opera non classificabile, fuori dagli schemi, che nella sua semplicità, riesce ad essere originale e immediata, che spiazza il pubblico e lo obbliga a fare i conti con la sua urgenza comunicativa, fornendo molteplici possibilità di lettura e fruizione del suo atto artistico.