L'assenza di Ivan Trùol e Patrizia Cavola stavolta presenti solo in veste di coreografi e non più sul palco, si fa subito notare.
Sarà per la scelta delle quattro interpreti e dell'interprete, che danno vita a una coreografia sporca, mai davvero precisa, senza che questo diventi cifra stilistica; sarà per il nodo stavolta irrisolto tra vocazione narrativa della coreografia (nonostante i proclama contrari contenuti nel programma di sala) e ricerca del movimento coreutico come reazione alla parola scritta (in questo caso Cabaret Mistico di Jodorowsky) che non sanno auto-sostenersi ma, al contrario, si respingono scalzandosi l'un l'altra, ma Galleggio, Annego, Galleggio rimane in mezzo al guado e non raggiunge completamente lo scopo propostosi che, secondo il coreografo e la coreografa, consiste nell'intenzione di generare l’immagine a partire da quanto evoca la
scrittura e dare forma, corpo, vita alla visione al di fuori delle logiche narrative.
La ricerca di un significato narrativo è invece l'operazione precipua cui il pubblico viene chiamato a compiere dinanzi una serie di quadri che sembrano cercare un significato altrove che non trova quasi mai autosufficienza nel movimento coreutico, contaminato sempre da un gesto performativo che, suo malgrado, implica una narrazione.
Anche a non voler tenere conto delle dichiarazione di intenzioni di Truol e Cavola, emerge subito nella coreografia il disequilibro tra i vari quadri ai quali manca un preciso senso della misura.
Alcuni insistono troppo su intuizioni coreutiche che avrebbero meritato una maggiore stringatezza - soprattutto quello d'apertura dove l'unico interprete maschile corre una corsa da fermi nonostante o, forse, proprio a causa degli ostacoli che gli si pongono dinanzi - mentre altri quadri vengono abbandonati troppo presto senza indagarne a fondo le potenzialità, come la danza che Valeria Baresi costruisce a partire dal respiro col quale vocalizza le proprie emozioni, spaziando dalla gaiezza alla rabbia, dalla perplessità all'imbarazzo, dalla curiosità all'entusiasmo, un respiro che le percorre il corpo ingenerando un movimento in un legame intimo e necessario nel quale l'uno nasce dall'altro, e viceversa, senza soluzione di continuità, un quadro splendido subito sacrificato per un intervento corale degli altri perfomer che banalizza la verità dell'assolo della danzatrice.
Diversi i momenti memorabili (come il quadro da circo-cabaret nel quale ognuna delle performer e il performer si presentano in scena con una precisa attitudine caratteriale data esclusivamente dalla postura) ma questi elementi non diventano un discorso rimanendo dei morfemi alla ricerca di un senso ulteriore spesso senza raggiungerlo, ma può essere benissimo un limite dello sguardo di chi scrive.
Secondo un tema caro a Jodorowski un misticismo che ci pare aleatorio e privo di riscontri concreti, evocando una a-razionalità di maniera, manca a Galleggio, Annego, Galleggio uno sguardo che sappia andare nella profondità della nostra esistenza qui e ora cercando al contrario degli universali esistenziali che rischiando di scadere in un involontario conservatorismo come l'apoteosi della sposa con il quale la coreografia si chiude che ci pare conformista e vagamente sessista.
Galleggio, Annego, Galleggio dopo un primo studio andato in scena lo scorso Dicembre debutta al Vascello in prima nazionale e questo lascia ampio margine di maturazione a una coreografia ancora giovane che
presenta dei diamanti ancora grezzi che, anche così, sanno farsi apprezzare, l'allenamento delle repliche saprà far sedimentare gli elementi spuri che in questo debutto appannano un po' la resa generale.
Danza
GALLEGGIO, ANNEGO, GALLEGGIO
Una coreografia appannata
Visto il
27-03-2013
al
Vascello
di Roma
(RM)