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GAROFANO VERDE

Macadamia Nut Brittle Ment…

Macadamia Nut Brittle

Ment…
Macadamia Nut Brittle
Mentre gli spettatori prendono posto, tre ragazzi, vestiti col caratteristico pantalone che lascia vedere generosamente le mutande, ripetono ad libitum i gesti stilizzati che gli steward compiono sugli aerei prima del decollo, indicando in una quasi-coreografia, le uscite di emergenza, la disposizione dei giubbetti salvavita e delle maschere di ossigeno. In sottofondo una musica allegra da party, sulla quale si distingue l'audio di un video porno, con gli inconfondibili rumori della copula e dei gemiti, tutti maschili. I tre ragazzi come ci spiega un'attrice vestita da Wonder Woman, sono Macadamia, Nut e Brittle, i protagonisti eponimi dello spettacolo che RicciForte presentano, in forma di studio, per la rassegna di teatro omosessuale Garofano Verde (sarà presentato nella forma definitiva il prossimo Agosto al festival internazionale Castel dei Mondi). Ci chiediamo in cosa possa cambiare uno spettacolo, un testo, che rasenta la perfezione, quella con la p maiuscola, quella che non si dimentica e che si staglia nel tempo come irraggiungibile esempio. Lo spettacolo inanella, senza soluzione di continuità, vari brani dello scrittore Dannis Cooper, "voce" dell'adolescenza confusa ed emarginata americana: monologhi, scene a due o più si susseguono su di un palco vuoto, privo di scenografie, dove gli attori (tre ragazzi e una ragazza) restano in vista anche quando momentaneamente non recitano. Le storie raccontate sono quelle di donne che cercano partner conosciuti su internet, che all'appuntamento concreto si nascondo e si negano, ragazze e ragazzi la cui disistima passa attraverso una negazione del proprio piacere, ragazzi che fanno sesso violento quale unico viatico per sentirsi vivi, giovani che dinanzi il letto di morte materno sentono di non voler crescere e si dolgono che con la madre muoia anche il loro essere figli. Storie di amori perduti e dei desideri non rispettasti. Sono storie dolorose dette anche con ironia, come il racconto di un rimorchio via webcam (raccontato, a turno, da tutti e quattro gli attori) che, concretizzato in un veroappuntamento, si dimostra sempre più fantastico (lui ha un membro enorme ed è sessualmente versatile, la cena è fantastica, il sesso pure ma dopo l'orgasmo ognuno a casa propria...) che compongono il quadro di tutti quelli e quelle, ragazzi e ragazze, che amano gli uomini. Macadamia... non parla di froci infatti ma di ragazzi e ragazze con una passione comune quella per l'uomo e il suo corpo. Un approccio inusuale e intelligente anche se rimane il limite di una visione fallocentrica che lascia fuori l'altra metà del cielo, chi, cioè, desidera la donna (poco importa se a desiderarla è un uomo o un'altra donna). Ma questa scelta di campo non vuole allestire primati o apologie del fallo (anche se magari a qualcuno potrà far piacere pensarlo) individua solamente un preciso desiderio, quello per l'uomo, e lo esplora a tutto campo. Ogni singolo racconto, ogni singola avventura, ogni storia va a collocarsi in un tessuto connettivo informato da almeno due coordinate: una onirica e criptica che vede i personaggi attendere in un ospedale, o su una casa costruita sull'albero, mentre mangiano un gelato (macadamia nut brittle è un gelato alla vaniglia con noci macadamia caramellate) per cui sovrapposizioni di luogo e diverse identità (i tre protagonisti Macadamia, Nut e Brittle che impersonano di volta in volta i vari personaggi dei singoli brani dello spettacolo) danno alle storie messe in scena un significato polivalente, multiplo, moltiplicato. Una seconda cornice di riferimento, più eterea e generalizzata, è quella della cultura pop (nel senso di popolare) della televisione, dei suoi quiz, delle sue fiction. Partendo dalla constatazione (che lo spettacolo ipostatizza per bocca di uno dei suoi personaggi) che le vite di ognuno di noi sono troppo piatte e anonime per essere vissute pienamente e vengono sostituite dal racconto iperbolico di quelle dei personaggi televisivi, lo spettacolo denuncia l'incapacità e l'impoverimento dell'uomo e della donna e della lingua dei sentimenti che essi usano, sostituita dall'ampollosa artificiosità della retorica televisiva. Se stiamo male, sembrano dirci RicciForte non è per il libertinaggio estremo che pratichiamo o che sogniamo di praticare ma per l'incapacità di viverlo pienamente rimanendo alla superficie delle cose.. Così mentre lo spettacolo dipinge una galleria di adolescenti egocentrici, egoisti, maniaci, promiscui e libertini, con annessi cerimoniali di corteggiamento e rimorchio, emerge al contempo lo scollamento emotivo, percettivo, esistenziale, tra i propri problemi e la loro portata effettiva. Un'anestetizzazione della pelle, come guscio protettivo non più in grado di sentire. Su questo impianto, già composito e complesso, ricciForte innestano degli inserti, dei veri e propri correlativi oggettivi: un coniglio a statura d'uomo (uno degli attori, che indossa un costume che lo veste dalla testa ai piedi) che viene scuoiato in scena (viene cioè sfilato il costume all'attore, come fosse la sua vera pelle), mentre il coniglio emette grida di dolore fino a diventare un uomo completamente nudo; la la maniacale cura con cui a turno gli attori dispongono dei muffin per terra secondo uno schema ben preciso per poi schiacciarli trasformandoli in briciole solo per ricordarne alcune. Uno spettacolo che chiede ai suoi attori un impegno notevole nell'interpretazione e nella generosità con cui regalano il proprio corpo ai vari personaggi, arrivando anche a recitare nudi e a simulare scene di sesso, momenti mai fini a se stessi, la nudità uno dei tanti costumi indossati dagli attori, il sesso simulato uno dei personaggi che rimanda sempre a qualcosa d'altro. Così la scena che vede i restanti tre tra attori e attrici accanirsi sessualmente contro quello di loro che, a turno, cade a terra sfinito (viene usato sessualmente in tutte le posizioni e varianti possibili, lui-lei lui-lui ) non indica semplicemente l'atto sessuale ma ne denuncia l'uso disperato come arma e come mezzo per distrarsi per non entrare mai davvero in contatto con sé né tanto meno con gli altri. Uno spettacolo ad alto contenuto performativo dove quel che succede e viene mostrato è altrettanto importante del testo che viene recitato. Ne risulta una mappa dei sentimenti e di un vissuto sentimental-sessuato vacuo e superficiale ma non perché il sesso è consumistico c'è sempre una vena di malinconico gioco legato agli incontri sessuali raccontati o mostrati, è l'incapacità di provare delle sensazione dei sentimenti che non siano guidati dalla retorica televisiva che fa male, e lascia senza fiato. I personaggi dello spettacolo, cioè noi, vagano come delle monadi inconsapevoli, tutte concentrate sul proprio piccolo ombelico che per ognuno rappresenta una questione di insormontabile complessità. E che i due autori colgano nel segno lo dimostra la reazione del pubblico. Dinanzi una delle scene più dolorose che vede i tre ragazzi in mutande con scarpe a spillo di plexiglas trasparenti e una cuffia da piscina in testa atteggiarsi a tre Drag Queen che vanno in lips inc. (in playback) su un brano cantato da una donna, mentre l'attrice, bardata di una tuta protettiva li imbratta di sangue, il pubblico, quello della prima fatto da amici e parenti, ride e trova quella scena e altre, divertenti. Quale migliore dimostrazione che siamo davvero tutti anestetizzati e continuiamo a portarci appresso un corpo che non sente e non prova più niente mentre il mondo intorno a noi sanguina? Roma, teatro Belli dall'8 al 12 giugno visto l'8 giugno 2009
Visto il
al Belli di Roma (RM)