Baliani e Accorsi si pongono una sfida alquanto ardua: portare a teatro oggi un testo classico della letteratura italiana esortando il pubblico a goderne non solo per la messa in scena teatrale ma soprattutto per la sua struttura linguistica.
Con le parole si gioca fin dalle prime battute in cui Baliani, dopo aver illustrato come è nata l'idea dello spettacolo, fornisce allo spettatore un primo stimolo: come possiamo immaginarci l'Ariosto? Avrà declamato la sua opera alla corte estense? e come a rispondere a queste domande Baliani passando dalla prosa ai versi di un prologo dal sapore shakespeariano sprona il pubblico a partecipare attivamente allo spettacolo mettendo in campo la propria immaginazione.
Nessun costume, nessuna scenografia, nessun cavallo alato come nella scenografia del celebre Orlando di Ronconi, unico espediente di scena un'imponente scultura di Mimmo Paladini, costituita di mezzi cavalli colorati che sembrano, usando le parole dello stesso Baliani: "sospesi in una giostra, pronti a muoversi in tondo, come sognanti cavalli di imprese eroiche ancora da compiersi" allo spettatore spetta il compito di ricostruire il poema cavalleresco utilizzando la propria fantasia stimolato dal gioco che si svolge in scena. Il gioco è il protagonista della rappresentazione. Il gioco dell'improvvisazione dei due attori, il gioco con il testo, da Ariosto, passando per Dante e Shakespeare, il gioco con le convezioni teatrali, il gioco continuo dell'ironia – anche se a volte un poco scontata e di profilo basso - il gioco con la propria gestualità, il gioco d'improvvisazione delle rime, il gioco delle continue digressioni che ben si adattano alla complessità di intrecci del poema cavalleresco.
Accorsi assume il ruolo di cavaliere narrante, tiene in mano il filo del racconto, declama – troppo spesso con una sola modalità - in versi le vicende "Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto. Baliani fa da controcanto, mette le vesti di "fool", elemento disturbatore, commentatore ironico e beffardo, sdrammatizza il testo, ironizza sui personaggi, mettendone in luce anche gli aspetti negativi della cultura maschilista dell'epoca e non del tutto tramontata.
La fisicità è elemento portante dello spettacolo: sul palcoscenico, complici, Accorsi e Baliani simulano battaglie, inseguimenti, nascita e fine di amori, salgono e scendono da cinque praticabili, si spostano avanti indietro per narrarci "l'amore, braccato, tradito, sbagliato" che conduce alla pazzia Orlando rendendo vivi in scena personaggi e mostri evocati dalle parole dell'Ariosto.
Ed ecco che con "Giocando con Orlando" i nostri due paladini vincono la sfida mostrando che il termine "testo classico" non coincide con vecchio e polveroso e che proprio attraverso il giocar con le parole possiamo nuovamente compiacerci della bellezza dell'opera narrativa dell'Ariosto e, usando le parole dello stesso Baliani: "Proviamo a far sentire, dopo secoli, quanto è preziosa la nostra lingua".