Prosa
GIULIO CESARE

Giulio Cesare: la morte del dramma shakespeariano

Giulio Cesare: la morte del dramma shakespeariano

“Cesare, attento a Bruto, bada a Cassio, non avvicinarti a Cinna, guardati da Casca…un pensiero solo unisce questi uomini, ed è rivolto contro Cesare. Se non sei immortale, guardati intorno”.
Con questo monito, con questo avvertimento sussurrato rivolto a Cesare si apre la tragedia shakespeariana “Giulio Cesare”, nella rilettura contemporanea e nell’adattamento di Andrea Baracco, che firma anche la regia, e Vincenzo Manna.

Vincenzo Manna e Andrea Baracco riducono sensibilmente il testo shakespeariano per ottenere una drammaturgia scenica funzionale a sei attori.
La scena è vuota, scarna, unici elementi scenografici sono tre vecchie porte scardinate, avanzi di un potere ormai in rovina. Porte manovrate a vista dagli attori che, spostate, capovolte, percosse, trascinate, creano lo scenario degli ultimi giorni di vita di Giulio Cesare, un protagonista che non compare mai, fino alla disfatta di Filippi.

Le luci di Javier Delle Monache creano un’atmosfera cupa, da incubo, utilizza molti tagli e sagomatori, inquadra particolari, insiste sul controluce che cancella i volti, lasciando alle ombre il compito di definire le espressioni.
Siamo in un ambiente sospeso, a tratti inquietante, uno spazio metafisico il cui silenzio imposto riconduce già a una dimensione di congiura e tradimento: i sussurri, la voce che biascica un avvertimento rivolto a Cesare affinché si guardi da tutti i cospiratori, nominati uno ad uno.
Interessante la scelta di non mostrare mai i senatori né lo stesso Cesare, per mettere in scena solo i meccanismi insidiosi celati dietro il torbido e infame inganno della congiura, che si muove nell’ombra e circuisce Cesare.

Poco incisive e alquanto discutibili le scelte attoriali, infatti il cast risulta essere debole e inadeguato, forse, in parte, a causa di una eccessiva uniformità anagrafica, che non permette ai registri di variare: ad eccezione della discreta e convincente – seppur spesso sopra le righe – prova di Giandomenico Cupaiuolo che interpreta Bruto, Roberto Manzizi che interpreta Cassio non rappresenta una reale e concreta contrapposizione nel conflitto, così come il personaggio di Marco Antonio interpretato da Gabriele Portoghese non è costruito in maniera organica e motivata.
Le due presenze femminili, Aurora Peres e Livia Castiglioni, a causa di un taglio troppo brusco e netto del testo e dell’adozione un registro recitativo eccessivamente melodrammatico risultano essere una parodia della donna isterica che si sfoga con grida laceranti e pugni battuti a terra.
Forse l’estrema semplificazione delle complessità del testo e la sua riduzione estrema e spesso priva di senso, unite a una recitazione acerba e a tratti scolastica e ad un uso invadente ed eccessivo di musiche a effetto rendono lo spettacolo poco convincente, privo di tensione e ritmo. Una concezione visiva e ritmica promettente se non è al servizio dello sviluppo drammaturgico è inutile: se viene a mancare la tensione, la recitazione è vuota e anonima e il dramma muore.

 

Visto il 11-03-2014