In questo nuovo riallestimento il regista Robert Wilson coinvolge 14 giovani studenti dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”: il loro impegno, entusiasmo e dedizione sono encomiabili e tangibili.
Dopo 31 anni torna in scena a Spoleto Hamletmachine, testo di Heiner Müller, regia di Bob Wilson.
Confrontarsi oggi con quello che è stato uno spettacolo emblematico del teatro contemporaneo, in cui Wilson mise in pratica in termini di regia, scene e luci, tutto ciò che ne ha determinato la sua inconfondibile cifra stilista e che gli valse un Obie Award come Miglior Regista, non è un’impresa facile.
In questo nuovo riallestimento il regista texano coinvolge 14 giovani studenti dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”: il loro impegno, entusiasmo e dedizione sono encomiabili e tangibili in scena, ma non sufficienti a sostenere il “peso” di uno lavoro così complesso e impegnativo, diventato un cult, un classico della produzione artistica di Wilson. Questa ripresa è pura sperimentazione, poiché aldilà del testo, gli attori cercano di diventare letteralmente dei “non attori”: Wilson trasforma i 14 giovani in macchine di scena, una sorta di automi, che ricordano le immagini americane degli anni ’50.
La drammaturgia della luce
Nei lavori del celebre regista le luci di scena sono protagoniste, diventano scrittura scenica e ogni momento della rappresentazione è minuziosamente scandito da un progetto di luce particolare e diverso: vi è una drammaturgia delle luci ben precisa che si muove parallelamente alla drammaturgia del testo, a volte ne prende il sopravvento, dettando tempi, ritmi e respiri.
Essere-non essere in scena
La parola trasformata o riscritta, la ripetizione, a tratti ossessiva o minuziosamente variata, le luci e persino l’amplificazione sono l’elemento distintivo del essere-non essere in scena di Wilson. Il testo di Müller dovrebbe essere recepito dagli spettatori attraversando il paesaggio sonoro creato, che rende difficile la comprensione di cosa accada realmente in scena e cosa invece sia parte di una traccia sonora registrata. L’opera non si manifesta unicamente visivamente, ma anche acusticamente, con estrema chiarezza, pulizia e plasticità.
Non è un a riscrittura di Amleto!
Hamletmaschine non è una riscrittura di Amleto: il rapporto di questo dramma con Shakespeare è quasi inesistente, non vi sono che cenni e nomi, un titolo di scena. Il dramma di Muller è la decostruzione, la destrutturazione, lo svuotamento della figura di Amleto. Wilson si misura con questo testo, scegliendo di sdrammatizzare ogni gesto, meccanizzandolo all’infinito: è il suo modo di scomporre e frammentare la parola e lo spazio.
Sebbene l’impianto scenico e la creazione visiva sia di forte impatto e di rara bellezza, assistiamo a una presunta perfezione, al trionfo di un’estetica senz’anima: un’avanguardia ormai superata, non più innovativa.