Prosa
HELVER'S NIGHT

La notte di Helver: l'umanità perduta e ritrovata

La notte di Helver: l'umanità perduta e ritrovata

Il teatro racconta storie, lo fa con un suo specifico linguaggio, fatto di parole, certo, ma anche e ancora di più di una comunicazione che travalica l’espressione verbale per nutrirsi di atti, di emozioni che scaturiscono dall’attore e attraverso un’alchimia unica si trasmettono allo spettatore. È così che, malgrado chiudano i teatri, il Teatro non chiude e non è sostituibile. Quanto accade in queste sere al teatro Abarico di San Lorenzo ne è un esempio perfetto. Complice una bella iniziativa che da anni si propone di gettare ponti di condivisione e di incontro tra differenti compagnie europee, la regista Mariagiovanna Rosati Hansen, direttrice del piccolo spazio, sceglie un testo scoperto qualche anno prima, Helver’s night, opera prima di uno storico dell’arte prestato al teatro, Ingmar Villqist, nella cui scrittura si fondono le suggestioni dei grandi drammaturghi nordici con una spiccata attenzione alla storia e alle sue follie, vissute e subite dai singoli.

In una Finlandia permeata di idee filo-naziste, i cui rumori minacciosi si odono al di là di una vetrata bianca, vivono in un non-luogo fatto di poveri mobili e luci fievoli, Helver e Carla, un giovane minorato e la sua governante. In un rapporto che nulla ha di scontato e prevedibile, essi rappresentano il duplice specchio del disincanto di una vita negata e della consapevolezza dolorosa di una vita troppo vissuta. Privati ognuno di un figlio e di una madre, i due si sono in qualche modo scelti, in un’epoca per precisa volontà registica privata di caratteristiche storiche, ma che, nel corso del tempo che passa e della vicenda che avanza, si accende sempre più di echi di tragedia sempre attuali, paradossalmente opposti a quella che per entrambi i protagonisti appare fugacemente come una seconda possibilità.
Al di là del simbolo e della metafora, il palcoscenico risuona di queste due vite infrante ma non sconfitte, interpretate in maniera potente dai due straordinari interpreti, Patryk Pawlak e Miriam Spera: l’handicap mentale di Helver non fa che sottolineare la sua peculiare intelligenza emotiva e una grande voglia di vivere, cui fa eco la dolorosa maternità perduta di Carla, una donna invecchiata precocemente, ma che non ha nulla di rassegnato o fatalistico. Vittime di un momento storico critico, essi rifiutano il loro ruolo, ognuno con i propri mezzi, fino a giungere a una Scelta suprema che sancisce la loro dignità umana, colma di rabbia ma anche di risate e di tenera complicità.
 

Si unisce a questa magnifica prova di interpreti la regia attenta e originale della Hansen, volta a riproporre un’attenzione viva e accattivante al ruolo della comunicazione, del lavoro dell’attore come mezzo di espressione universale, che travalica linguaggi e metodi di pensiero. La grande espressività fisica e naturalezza del polacco Pawlak trova un complemento perfetto nella solida esperienza che vena di sfumature sottili, sempre diverse, l’interpretazione della Spera.
Ne esce una coppia affiatata che fa dimenticare allo spettatore non solo che il testo viene recitato in entrambe le lingue italiana e polacca, ma ogni sorta di differenza di età e scuola, identificando in maniera totale l’attore con il suo personaggio, la finzione teatrale con due vite vere, che non si limitano al tempo e allo spazio del palcoscenico, ma entrano in ogni anima come la consapevolezza di qualcuno che non si è conosciuto, ma che risuona costantemente dentro di noi, eco di un dolore lontano, ma che basta svoltare un angolo di strada (di vita) per incontrare.

Visto il 04-04-2013
al Abarico di Roma (RM)