Ho perso il filo è uno spettacolo che non ci si aspetta da un’attrice comica come la Finocchiaro. Come da lei stessa spiegato, l’idea nasce dalla voglia di cimentarsi con un personaggio diverso dai soliti.
Angela Finocchiaro, attrice comica tra le più apprezzate del panorama televisivo, cinematografico e teatrale italiano, torna in teatro con uno spettacolo tutto suo e lo fa con brio, voglia di mettersi in gioco, grande professionalità e, per così dire, “spirito d’adattamento”.
Ho perso il filo è uno spettacolo che non ci si aspetta da un’attrice comica sulla sessantina. Come da lei stessa spiegato agli spettatori in platea all’inizio dello spettacolo, l’idea nasce dalla voglia di cimentarsi con un personaggio diverso dai soliti. Per questo, con molta simpatia e ironia, l’attrice si presenta al pubblico nell’armatura di un combattente, manifestando la volontà di interpretare l’eroe Teseo.
Consegnato il famoso gomitolo di Arianna ad uno spettatore in prima fila, affronta con grande coraggio quel che le si presenta dietro il sipario rosso: un labirinto incantato popolato da strane creature danzanti che la privano dell’armatura e la lasciano nuda e impaurita ad interloquire con il labirinto stesso, che tramite scritte proiettate davanti a lei le mostra cosa fare.
Inizia così un vero e proprio viaggio all’interno del tempo, di luoghi forse mai dimenticati e di episodi personali che scavano fin nell’infanzia della Finocchiaro, per arrivare cronologicamente al presente. Un presente in cui l’attrice si trova a far i conti con la scelta, forse un po’ troppo audace, di interpretare un eroe che per uscire da quel limbo onirico in cui si trova deve affrontare il minotauro e con esso tutte le sue più grandi paure.
Il viaggio come occasione di crescita
Ciò che rende interessante l’idea drammaturgica dello spettacolo, più che l’interpretazione del mito del minotauro, è proprio il viaggio che la Finocchiaro è in un certo senso costretta (volente o nolente) ad affrontare per andare avanti nell’avventura spettacolare della sua vita. Non sono sempre ricordi piacevoli, quelli che si ritrova a rivivere e a raccontare talvolta con una certa emozione al pubblico, fra primi amori, ricordi dell’amata nonna, moniti verso i figli una volta diventata mamma, preoccupazioni e tanta dolcezza.
Gli episodi autobiografici della vita dell’attrice si rivelano poi essere anche un pretesto, se vogliamo, per riflettere su temi importanti cari alla Finocchiaro, dalla condanna dei soprusi all’attacco alle multinazionali e al capitalismo imperante, ad esempio. Angela Finocchiaro si conferma ancora una volta una monologhista brillante e capace, ma soprattutto qui si svela in una veste profonda, a dimostrazione che il riso è sempre stratificato comunque su qualcosa di riflessivo.
Uno spettacolo che unisce varie arti
Le scenografie sono povere, lo spettacolo viene giocato quasi esclusivamente sul piano della fantasia e del mondo creato dalle luci e dalle musiche, ma soprattutto dalle coreografie originali di Hervé Koubi danzate da sette ballerini che, veloci come furetti, “volano” sulle tavole del palcoscenico nell’interpretazione di strane creature che coinvolgono la Finocchiaro stessa in disegni coreografici d’insieme inseriti perfettamente nel contesto.
Come tutti i viaggi teatrali o letterari, l’importante è il punto d’arrivo, ed è qui che lo spettacolo svela un’importante messaggio morale: bisogna vincere le proprie paure e lanciarsi con slancio nelle avventure che la vita ci mette davanti quotidianamente.
Esilarante anche il finale, in perfetto stile greco per l’ambientazione dello spettacolo, con un sirtaki danzato dai ballerini e dalla stessa Finocchiaro in un’esplosione di allegria dal sapore festaiolo e anche un po’ rituale.