Danza
HOMO TURBAE

Mòra: nè teatro nè danza

Mòra: nè teatro nè danza
Homo Turbae, andato in scena nell'ambito della rassegna Le vie dei Festival, è il primo lavoro di Mòra, la compagnia di ballo della Socìetas Raffaello Sanzio, erede delle esperienze e degli studi della Stoa, la scuola sul movimento ritmico, fondata da Claudia Castellucci con intenti di ricerca pura.
Nello spettacolo sono riconoscibili da subito le dichiarazioni di poetica di Mòra: forme della danza legate alla dimensione del tempo; relazione tra metrica dei movimenti e metrica musicale, sviluppata lungo gli arti inferiori, pistoni di strumento musicale; il battere dei piedi come costante contatto con la terra.
La pièce che prende la forma di una coreografia ma, nelle sue intenzioni, vuole essere qualcosa di altro, presenta 8 danzatori, quattro ragazze e quattro ragazzi, tutti danzatori professionisti (tranne uno che proviene dalla Stoa), che sviluppano in un percorso di ricerca del movimento prima ancora che di danza, i viluppi ritmici di una partitura musicale complessa di Messiaen, basata su un organo dalle timbriche eccentriche, con inusuali armoniche, intessuta con passaggi musicali di Scott Gibbons.
Gli otto danzatori, tutti vestiti di nero, con uno stesso costume che li vede indossare su una calzamaglia nera una sorta di gonnellino plissettato (unica differenza una scollatura sulla schiena delle ragazze e una pettorina bianca sul torso dei ragazzi), sviluppano un movimento che li vede agire ora all'unisono ora in piccoli gruppi di due e tre cercando pose e posture che si sviluppano più sull'asse verticale (salti, posture da fermi) che su quello orizzontale, che si limita a sviluppi circolari unica (figura cui l'autrice dispone i suo ballerini oltre a quella classica delle tre file dove i danzatori sono schierati nello schema 3 2 3. Piccoli passetti da fermi, estensioni laterali degli arti da fermi, all'unisono con la partitura musicale, che non concede un attimo di riposo caratterizzano una coreografia poco ariosa, che ben si confà alle atmosfere cupe della musica.
Tanti i rimandi culturali della piéce come il racconto L'uomo della folla di E. A. Poe, sull'osservazione della massa che invade le città e che all'improvviso si manifesta come corpo unico, fantasma eterno, presente in ogni luogo, diventando, nelle parole di Poe, segno del genio maligno. O, ancora, l’acquerello del 1948 Il sogno del Professore dell’architetto Charles Robert Cockerell riprodotto nella parete di fondo della scena, davanti al quale si muovono i danzatori di nero vestiti.
Ma sono rimandi del tutto inintelligibili, che abbisognano della lettura delle note di regia per essere compresi, altrimenti se ne rimane del tutto all'oscuro. Resta la presenza del corpo di danza, vero organismo vivente che sa animare la scena con le sue pulsioni ondulatorie seguendo le variazioni della partitura musicale. Questo ci sembra sufficiente, per riconsocere status e fisionomia alla compagnia e allo spettacolo al di là di quanto affermato dai detrattori (davvero troppo esigenti) che hanno liquidato questo lavoro come un incidente di percorso.
L'assenza di un certo nitore formale (che da sempre caratterizza le produzioni della Societas Rafaello Sanzio) è un difetto più nell'occhio dei detrattori che già nella coreografia/movimento che ha un suo fascino e una sua autonoma legittimità. I limiti evidenti di questo lavoro sono nella musica che schiaccia troppo la performance fisica dei danzatori (davvero notevoli, anche se di provenienza e di maturità completamente differenti), al limite della maratona/kermesse, sottolineando quel che di sadico e maligno c'è nel testo di Poe da cui è ispirato.
Un ibrido che paga la sua ambiguità di non essere né pura coreografia né puro teatro, penalizzato da un impianto luci che sembra distratto e, se non proprio assente, almeno carente (scadente?). condannato a scontentare chi approccia Homo Turbae da questi versanti parziali.
La vocazione elitaria che caratterizza tutta l'opera della Societas è anche stavolta confermata dalla mancanza assoluta di cortesia nei confronti degli spettatori che sono gettati in questa esperienza visivo-uditiva privi di qualunque linea guida interna allo spettacolo. Con risultati però meno discutibili di altri lavori della Societas considerati più riusciti ma, contemporaneamente, più altezzosamente snob. Il pubblico comunque ha apprezzato facendo registrare il tutto esaurito.
Forse, chissà, è proprio la mancanza di un atteggiamento snob di questo lavoro che ha fatto trovare d'accordo tanti tra i suoi detrattori.
Visto il 26-09-2009
al India - sala A di Roma (RM)