I GIUSTI

Un lungo inverno senz'ombra di estate

Un lungo inverno senz'ombra di estate

Il richiamo del corpo si fa sentire in Dora, unico personaggio femminile della pièce, quando chiede a Ivan se pensa che, dopo il lungo inverno, potrà avere spazio finalmente l'estate: estate intesa come quel calore fisico, quella vicinanza concreta agli esseri umani – e non solo all'umanità astrattamente intesa - cui i cinque rivoluzionari moscoviti, più o meno consapevolmente, sanno di aver perduto ogni accesso.
Li vediamo rappresentati mentre preparano un attentato al granduca Sergio, dispotico governatore di Mosca, nell'intento di infliggere un colpo fatale alla feroce tirannia dello zarismo: ma è anche (e qui il testo di Camus è sottile e duttile nel mostrarcelo, pur senza darcene mai la certezza) una voce interiore che sembrano combattere, un'eco paranoica e incessante, che continuamente richiama una sorta di dittatura interna
Il loro afflato rivoluzionario ricorda i capolavori di Cechov, che fu maestro nel rappresentare quel particolare momento storico, i primissimi anni del secolo, in cui l'afflato rivoluzionario cominciava sempre più prepotentemente a prendere voce, pur senza avere ancora la maturità per esplodere.

Ancora: il personaggio di Ivan Kaliayev, poeta e rivoluzionario per amore (un amore astratto e genericamente impastato di ideale, avrà a rimproverargli Dora, nel loro ultimo incontro mancato) ricorda quei personaggi cechoviani (uno su tutti, Dorn de Il gabbiano) in cui, con proiezione autobiografica dell'autore, la passione per il mestiere di medico si mescola a un afflato di fratellanza con il popolo russo.

Alla figura estetizzante di Kalilayev, la pièce contrappone quella di Stepan Fedorov (in una riuscitissima interpretazione di Luca Mammoli): altra storia, altra estrazione sociale, un odio pervicace e ostinato, una radicale adesione alla causa rivoluzionaria che trova sapientemente il suo disvelamento drammaturgico nella storia di umiliazione e prigionia del personaggio, i cui segni concreti delle frustate ricevute muoveranno in Dora, anche se solo per un momento, un movimento di amore e vicinanza fisica.

In mezzo al binomio Ivan - Stepan/ amore – odio, tutti gli altri: Dora, con le bombe a mano che lei stessa crea come figli, Boris, con il peso della responsabilità, delle “zone grigie” di una vita da leader,  il giovanissimo Alexis (uno straordinario esordiente, Alessio Zirulia), il neofita, colui che alla fine riuncerà a salire sul carro della falange armata.

Tra tutti loro risuona una domanda, un dilemma etico, che è il vero evento scatenante della pièce: è giusto mandare a monte l'attentato alla granduca, solo perché sulla sua carrozza viaggiavano anche due bambini, nipoti dello zar? E ancora: è giusta una rivoluzione che uccide degli innocenti, pur se diretta emanazione di quel sistema da abbattere?
Il dilemma peserà soprattutto sulle spalle di chi non ha lanciato la bomba, ovvero Ivan, che pochi giorni dopo completerà l'atto mancato, uccidendo il granduca e finendo in prigione.

Qui, nella medesima scenografia astratta e modulare, riadattata a cella di un carcere, si gioca per intero il secondo atto, in vista della condanna a morte di Ivan, tra personaggi surreali e angoscianti: il secondino, il detenuto boia, il capo della polizia, senza dimenticare l'originale e inquietante figura mistica della granduchessa vedova. Ivan si fa carico dell'atto compiuto, non tradisce i suoi compagni e affronta il patibolo, richiamando su di sé quella visione cristologica iniziale (non a caso, l'oggetto che lo accomuna alla granduchessa è appunto il crocefisso) per cui solo offrendosi come vittima sacrificale potrà servire la causa del popolo russo.

Ispirata a un fatto vero, l'attentato al granduca Sergio nel 1905, con la cruenta descrizione del suo corpo a pezzi sparso lungo la strada, il lavoro di Camus fu ed è ancora un intelligente pungolo all'idea di una causa rivoluzionaria aderente a una struttura partitica e genericamente votata alla collettività.
L'amore per la collettività, e non per gli uomini, è il leit motiv dello spettacolo, portato avanti con intelligenza dalla regia di Conte. Interessante e riuscita la scelta di un'ambientazione astratta, avulsa dal tempo, nella splendida costruzione scenografica e nei costumi, che si rivelano sempre elementi di eccellenza nella produzioni della Tosse.

Qualche lentezza nella recitazione, poche sbavature, forse legate anche alla grande complessità del testo. Una rappresentazione che ricorderemo, impegnati come siamo, oggi, come allora, a capire chi siano i giusti del nostro tempo e se abbia ancora senso, e come, servirne la causa.

Visto il 23-02-2017
al Della Tosse di Genova (GE)