Prosa
I MENECMI

L'Eterno Plautino

L'Eterno Plautino

Menecmi di Tato Russo è come la pizza mangiata nel locale che frequenti da sempre, una certezza dalla quale ogni volta ti aspetti di essere soddisfatto allo stesso modo, e che resta il motivo principale per il quale ci sei tornato, magari scoprendo che lo chef è riuscito anche ad inserire qualcosa nella preparazione tradizionale: ancora una volta, tutto questo viene confermato da una solidità sua personale nell'impersonare entrambi i gemelli che nella storia di Plauto vengono separati per caso all'età di 7 anni, e da una esperienza nel ruolo che ha superato le 600 repliche in 25 anni.

La riscrittura che fa dell'originale plautino conserva traccia dello sguardo rivolto alla platea latina concedendo spazio alla inclinazione plebeista, i meccanismi si intrecciano con tempi collaudati, l'arte comica trova spazi tradizionali che uno spettatore che voglia lasciarsi andare al generoso gusto del grande commediografo romano della Palliata, troverà senza dubbio esilaranti e portati in scena col suo giusto accento situazionale e didascalico.

Menecmi è la madre delle commedie degli equivoci, dallo spunto perfino esageratamente banale (i due gemelli non si conoscono, ed uno dei due giunge da Capua nella città dell'altro -ovviamente Napoli, nella quale Russo ha ambientato il tutto- e scatena una ridda inestricabile di fraintendimenti ed ambiguità tramite lo scambio di persona inconsapevole), eppure perfetto per contenere quegli elementi psicologici e tecnici che Plauto sapeva incastonare in un apparente semplicità, come quello dei Simillimi con il tema del doppio, dell'Agnizione con il riconoscimento finale che porta alla fortunosa conclusione, del Servus callidus con i suoi inganni, e di un lessico del quotidiano che assicura la giusta ed immediata presa sul pubblico (naturalmente ancor più evidente nel momento in cui il linguaggio, come in questa occasione, appartiene anche allo stesso suo vernacolo).

Né mancano la Pantomina ed il Prologo, con cui le Maschere e l'Entità astratta rendono conto della situazione cui si sta per assistere. Fra gli inserti nuovi questa volta possiamo ricordare le nudità del coro delle prostitute che entrano in contaminatio con le reminescenze delle sirene omeriche, ed alcuni passaggi in cui il tono di Tato Russo sembra ispirarsi stilisticamente ad espressioni eduardiane.

Le scene echeggiano dei paesaggi di una Neapolis in bilico fra fasti e rovine, ed il cast di servi, ancelle, femminnelli, cortigiani e parassiti, regge con precisione l'esuberanza del doppio protagonista principale, con una particolare menzione per Rino di Martino (l'esasperato ma rassegnato Messenione) e Marina Lorenzi (la combattiva moglie Dorippide), per uno spettacolo che conserva il suo particolare fascino di origine atellanica, tuttavia meno grossolano dell'arte originaria plautina e più ammiccante all'ambiente del suo tempo; ma coltivare il principio dell'adesione al gusto, in fondo, significa rispettare ancora di più l'insegnamento di Plauto.

Visto il 04-04-2014
al Augusteo di Napoli (NA)