Anche la nostra piccola Italia ha la sua epica. Chi l’avrebbe mai detto… e non si tratta della grande epica dell’epoca classica, niente dèi o eroi invincibili. Non si tratta neanche delle fantasie del Risorgimento, niente Garibaldi. Renzo e Lucia, Don Abbondio, l’Innominato: questi sono i personaggi che popolano, forse nel nostro inconscio, l’Italia più autentica, quella nata dal basso. Questa è l’impressione più importante che lascia la messinscena de I promessi sposi ideata e riadattata da Michele Sinisi.
Noi siamo loro
Non siamo poi tanto diversi da Renzo, Lucia e Don Abbondio: in loro è facile riconoscersi. Quando una cultura si riconosce in una propria storia di fondazione, si immedesima nei personaggi e nei fatti della narrazione. Deve quindi esistere un ponte ben visibile tra ciò che viene raccontato e la contemporaneità vissuta. Così Sinisi sceglie gli episodi chiave dell’opera manzoniana e, invece che raccontarli nuovamente, offre chiavi di lettura del tutto originali.
Immediatamente si prende coscienza che da sempre è esistito e sempre esisterà il problema moderno del chiasso mediatico, anche se nel 1600 era generato della rivolta del pane e adesso da altri fatti; si prende coscienza che oggi incontriamo di nuovo i volti dei migranti italiani del 1600: Renzo e Lucia nella loro fuga dalla casa natia condividono parte della loro storia con chi, scappando dal proprio Paese, arriva in Italia oggi. Ognuno ha il suo Don Rodrigo e ognuno ha la sua battaglia per la sopravvivenza.
Il simbolo che di due fa una sola cosa
Sinisi sostanzialmente trasporta dialoghi scelti e i personaggi originali in scene che sono dei quadri simbolici, che non hanno bisogno di scenografia perché scaturiscono dall'azione stessa. Sta allo spettatore leggere il simbolo e capire il linguaggio del regista per connettere idee, situazioni e luoghi che vivono a secoli di distanza.
Non c’è un singolo elemento sul palcoscenico che serva solamente a raccontare la storia. Ad esempio il primo, singolo atto che fa da innesto a tutta la vicenda (la minaccia dei bravi a Don Abbondio) è simboleggiato da quella scritta “non s’ha da fare”, che rimane visibile dalla prima all'ultima scena, perché ogni storia comincia da un fatto particolare. Ci si domanda cosa sarebbe successo se i bravi non avessero minacciato Don Abbondio a proposito del matrimonio che doveva celebrare: forse nulla.
Riscoprire un’opera e se stessi
A prescindere dalle proprie idee su vita, religione e politica, questa ricca, divertente e commovente messinscena de I promessi sposi è un viaggio a riscoprire di cosa siamo fatti, qual è l’origine della nostra cultura, dei nostri affetti e delle nostre fatiche.
Forse una possibilità per l’Italia c’è ancora, e nasce non da un sistema politico mai all’altezza del proprio compito, ma dal più semplice dell’individuo, che nel suo piccolo e, a volte, nella sua ignoranza, vive di quel respiro comune che è la cultura generata da secoli di storia.