Isabelle Anna francese, si avvicina al Kathak nell 1998, quando conosce Sharmila Sharma al centro Mandapa di Parigi, luogo di riferimento per gli amanti delle arti e della cultura indiane. In India studia poi le origini etniche del Kathak e diventa allieva di Pandit Jaikishan Maharaj, appartenente a una famosa dinastia di artisti di Kathak. Nel 2007 fonda la sua compagnia Kaléïdans’Scop. Il suo è un lavoro di ricerca, la stessa con la quale innesta la tecnica della danza kathak su sue coreografie accompagnate da musiche occidentali. E come di fronte ad un lavoro di ricerca è opportuno assistere ad I Speak Kathak, Spanish Ketchup, Mon Boléro e Trilogie.
I Speak Kathak, su improvvisazioni musicali di Jaikishan Maharaj, è il racconto di un corteggiamento, un’occidentalizzazione e una semplificazione del kathak, eseguito assiema a Quincy Charles, virtuoso della danza indiana che ha studiato a Londra e a Nuova Dehli. Vuole essere un'immersione sotto il profilo coreografico, testuale e musicale, nella danza tradizionale indiana Kathak, oltre che un'esplorazione dell'universo sonoro e visuale della percussione, un’alfabetizzazione al Kathak, per rendere familiare l'universo simbolico celato nei gesti dei danzatori. Breve, fruibile, è una cosa nuova, né kathak, né danza occidentale. C’è il vocabolario essenziale del kathak con qualche concessione al balletto occidentale di figura, ma manca totalmente l’eleganza dei movimenti indiani e completamente la ricchezza della mimica facciale. La musica, componente essenziale delle danze kathak, è registrata ed impoverisce molto il passo di danza.
Spanish ketchup, con musica di Isaac Albéniz, si direbbe partire da una domanda: il flamenco deriva dal kathak? Sembra che la risposta di Isabelle Anna sia affermativa. Questa seconda danza è un flamenco narrato col lessico kathak e ritmato dal batter di mani e dalle cavigliere sonanti. Contaminazione o derivazione? La chitarra flamenca registrata sembra molto semplificata per questo assolo che diventa un passo a due femminile. Ci si chiede di nuovo: è contaminazione o vorrebbe mostrare una derivazione? Né l’una, né l’altra cosa. Qui non c’è traccia né del formalismo, né della precisione estenuata, né del rigore della danza kathak, ma nemmeno dello sviluppo libero del flamenco, che parte da pochi elementi.
Mon Boléro, sulla musica di Maurice Ravel, è un lavoro coreografico che si inserisce in una ricerca sulla traduzione visiva del ritmo. C’è il tentativo di convertire la celebre coreografia di Nureyev al femminile, in assolo e col vocabolario kathak, ma il risultato è molto freddo, e sembra anche vuoto.
Trilogie, su musica di Luigi Nono, parte da una ricerca di astrazione. La musica di Nono ieratica, siderale, può essere danzata? E danzata kathak? Forse, ma i cimbali delle caviglie, che forse vorrebbero sottolineare la “ritmica” in realtà appesantiscono solo il suono limpido e i quattro danzatori, vestiti di bianco, vagamente lunari, non riescono ad elevare all’astrazione di Nono, né ad infondere la sublime musica nel movimento. La prova di fondere le due parti non si può dire riuscita, anche se in questo quarto passo di danza la freddezza di Isabelle Anna è appropriata.
Nel complesso si può dire che questa è una diversa modalità si danzare, e il risultato è a tratti gradevole, seppur non entusiasmante.
Visto il
05-03-2010
al
Arena del Sole - Sala Thierry Salmon
di Bologna
(BO)