Approda al Teatro Sociale di Trento, Il barbiere di Siviglia rossiniano che Fabio Cherstich – incassata la nomina triennale ad artist in residence della Fondazione Haydn di Trento e Bolzano – propose nell'aprile 2021 a Reggio Emilia, in piena tempesta Covid19. Quindi dato a porte chiuse, ma trasmesso online dal portale OperaStreaming.
Una messinscena coloratissima e stravagante, dal sapore dadaista grazie alle surreali scenografie di Nicolas Bovey – un montacarichi a disposizione di Don Bartolo e frigidaire pieno di birre col suo nome, un cembalo volante e fumante, uno smisurato megafono, un'enorme pedana oscillante, insegne straluccicanti, un'armadio errante, tutto uno stravagante armamentario. Ma pure per i bizzarri costumi di Arthur Arbesser, che ad esempio veste Figaro in traje de luces da torero, e imbelletta di rosso un luciferino Don Basilio.
Come diceva Stendhal, ecco una follia ben organizzata
Da parte sua la regia di Cherstich qualche cosa della precedente mise en scéne emiliana deve sacrificare, qualcosa lasciar di lato per il minor spazio del teatro trentino. Al punto da mettere a nudo le pareti del palcoscenico, per muoversi meglio. Mantiene però integro il profluvio di trovate e controscene folli e strampalate come si conviene a Rossini: un racconto che scorre rapido e travolgente, con spiritose postille recitative, avvantaggiandosi di alcuni farseschi servi di scena e d'un Ambrogio – il funambolico mimo Julien Lambert – che sprigiona irresistibili siparietti. Le vivide luci, dall'intonazione pop, le configura Marco Giusti.
Un giovane maestro che brucia le tappe
Anche il direttore veronese Alessandro Bonato, a neanche trent'anni ha ricevuto quassù un importante incarico: a partire dal prossimo autunno, e per tre stagioni, sarà direttore principale dell'Orchestra Haydn. Quella stessa di cui tiene stasera ben serrate le fila, con una concertazione che parte un tantino cauta nella Sinfonia – tenuta su agogiche e crescendo alquanto prudenti – per poi esplodere procedendo scattante fra buon ritmo, giusta quantità di brio, accurata ricerca di colori; e con una stimolante carica teatrale ravvisabile specie nei vorticosi momenti d'insieme.
Da segnalare il fantasioso sostegno strumentale dei recitativi, che prevede oltre al cembalo di Richard Baker – un profluvio di azzeccate citazioni musicali, sopra tutto mozartiane – il mosso violoncello di Gianluca Montarulli. Dall'Ensamble Vocale Continuum, preparato da Luigi Azzolini, si sarebbe preteso qualcosa di meglio.
Sette voci per Rossini
Il baritono armeno Gurgen Bayean rivela un autentico carattere rossininiano, dimostrandolo con questo suo Figaro squillante e pastoso, ben timbrato e ricco di mordente, scatenato nel ritmo e nella scansione. Maura Gaudenzi si mostra pienamente all'altezza della caparbia figura di Rosina, cui aggiunge – con una vocalità vellutata e sonora, sempre ben guidata – la giusta misura di malizia e femminile, ammiccante vezzosità. Al punto da offrirci «Una voce poco fa» pressoché travolgente.
Pietro Adaini non centra il carattere focoso e un po' prepotente di Almaviva. Infatuato di Rosina sì, tuttavia pur sempre un altero Grande di Spagna; ma in questo sarebbe in buona compagnia, lo fan pochi tenori. Ciononostante non arretra di fronte alle asperità della tessitura, cantando con garbo e sicurezza, incline ai limpidi acuti, risolvendo onorevolmente il «Cessa più di resistere» fiorito finale che, per nostra fortuna, una volta tanto ci vien concesso godere.
Fabio Capitanucci porge un gustosissimo, ben calibrato Bartolo, dall'agile sillabato; degno di ogni lode è Nicola Ulivieri, che cesella l'aria de «La calunnia» nei panni d'un venefico, untuoso Basilio. L'altro basso, Gianni Giuga, è un Fiorello di calibro superiore; Francesca Maionchi è una buona Berta, che ben spicca nei concertati.