La storia di Franca Viola, la giovane ragazza di Alcamo rapita, stuprata e poi chiesta in moglie secondo l'antica usanza della sicula fuitina, ha avuto diverse narrazioni, sia nel cinema (La moglie più bella di bella di Damiano Damiani del 1970 e Primadonna di Marta Savina del 2022) sia nella letteratura con il libro di Beatrice Monroy. Ed Ambra Angiolini la porta in tournèe già da più di un anno, con il titolo di Oliva Denaro.
Ma è con la comparsa nelle librerie del romanzo Oliva Denaro di Viola Ardone, che le vicende di questa giovane siciliana sono ritornate prepotentemente alla ribalta. E sulla ribalta del teatro è stata proprio Ambra Angiolini a volercele portare, con la collaborazione del regista Giorgio Gallione, riscuotendo in tutti i teatri successo, applausi e ovazioni, sorprendendo il pubblico per la lievità con cui è affrontata la violenza sulle donne: una ferita sociale ancora aperta, oggi più di qualche anno fa.
Perché Oliva Denaro (l'alias di Franca Viola) si presenta al pubblico in un'aia di campagna, in una scenografia allegra e bucolica, come una ragazzina sognante, un'adolescente che nell'orto paterno, fra le galline da badare e un'arancia da sbucciare racconta il suo passaggio alla pubertà.
Vive i suoi cambiamenti ormonali e caratteriali giocosamente, scindendo quello a cui è favorevole da quello a cui non lo è, anche se lo è per gli altri, lo è sempre stato. Questa sua personale scissione è la prima forma di ribellione al consueto, al tradizionale, all'ineluttabile. E' la prima vera crescita di ogni persona.
Ambra si fa in quattro, in cinque, sei...
Quello che tecnicamente è un monologo non lo si avverte come tale perché l'attrice più che descrivere i personaggi dell'evento che la vedono protagonista storica, li interpreta e li porta in scena per come parlano, per come agiscono, per come pensano: entrano nel corpo di Ambra Angiolini e si dichiarano.
Il pubblico fa la conoscenza diretta della madre che parla solo per motti antichi che sanno di sentenze di condanna; della sorella Fortunata che fortunata non è perché dopo la fuitina e il matrimonio riparatore si ritrova oggetto disprezzato dal marito; del padre che ascolta e agisce in silenzio per il bene delle figlie e di nascosto per scansare ritorsioni dei malacarne.
E poi Oliva ci fa conoscere Liliana la comunista e la maestra rossa, il segretario che riunisce il partito per solidarizzare con la ragazza rapita e stuprata e affiancarla nella battaglia. Che è prima una guerra sociale e poi legale: contro il rosario della signora Scibetta, contro il maresciallo che è livellato a quel codice penale per cui ogni reato è cancellato da un bel matrimonio riparatore, contro Pino Paterno pasticciere sequestratore e stupratore.
Sorprendente Ambra
Viene da chiedersi come abbia fatto l'attrice (e il regista Giorgio Gallione) a concepire una simile narrazione di eventi aspri, argomenti scabrosi, nefandezze sociali e giuridiche in uno spettacolo che resta permeato di allegria, di ottimismo, di bellezza artistica; uno spettacolo che tiene lo spettatore congiunto con la protagonista, senza un attimo di distrazione né di tedio.
Alla fine di sessanta intensi minuti Viola Denaro grida forte il suo no, ma senza rancore, senza rabbia, con immutabile fiducia nelle persone. E al suo no gridato al giudice e al suo violentatore succede l'imponderabile: il pubblico si alza in piedi e applaude, applaude per svariati minuti e salta la chiusura del sipario e la riapertura per i saluti perché Ambra Angiolini resta sul proscenio a ringraziare il pubblico che continua ad applaudire, anche se una domanda alla fine affiora nella mente: c'è ancora quella solidarietà sociale o politica che permise a Franca di denunciare? C'è ancora un'organizzazione di persone disposte e lottare per i più deboli rischiando anche la propria incolumità? O piuttosto la parabola virtuosa iniziata negli anni del caso Viola ormai è in rovinosa discesa? O bisogna nuovamente imparare a dire, come Oliva, io non sono favorevole a...