Produzione dedicata alla memoria di Graham Vick, presidente della giuria del concorso per regia, scene e costumi rivolto ad artisti under 35 di cui questo allestimento è risultato vincitore, il Barbiere di Siviglia di Daniele Menghini, inserito come terzo titolo in cartellone del Macerata Opera Festival, brilla per arguzia, vis comica e capacità di cogliere la vera essenza di un’opera troppo spesso catalogata frettolosamente soltanto come “buffa”.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Uno spaccato della fatuità della società italiana contemporanea
Come ben ha rilevato Massimo Mila, il Barbiere di Siviglia ci presenta personaggi solo concentrati su se stessi ed interessati al proprio “particulare”, per nulla mossi da buoni sentimenti nei confronti dei propri simili.
Ed è proprio sulla base di questa affermazione che Daniele Menghini e i suoi collaboratori hanno deciso di ambientare l’opera in un contemporaneo studio televisivo dove vengono girati tre format diversi: uno dal titolo “F*cktotum” in cui Figaro si industria per far innamorare coppie di giovani all’interno di un salone da parrucchiere, il secondo denominato “La calunnia” nel quale don Basilio tenta, invece, di distruggere le coppie formate da Figaro stesso e, da ultimo, una soap di basso livello intitolata “L’inutil precauzione” in cui i nostri protagonisti vestono vistosi abiti settecenteschi.
Tutto è volutamente trash, dalle scene di Davide Signorini ai costumi di Nika Campisi; i riferimenti alla pochezza dei protagonisti di certi talent e alla loro incapacità di intrattenere rapporti umani decenti che non vedano al centro la propria persona risultano da un lato esilaranti, dall’altro fanno riflettere lo spettatore.
Nel corso della rappresentazione quasi tutti i personaggi sono costantemente al cellulare o si sprecano in selfie quanto mai inopportuni, Bartolo diviene un produttore televisivo senza scrupoli, Basilio un rockettaro in pelle nera, Almaviva un politico molto influente, sebbene poco in vista, travestito da ragazzo di strada, Rosina una starlette volgarotta, dai capelli rosa e dal pessimo gusto nell’abbigliamento, Figaro una sorta di alter ego di Federico Fashion Style.
Bravissimo il regista nel muovere le masse, nel suscitare la risata senza mai scivolare nell’eccesso. Tutto funziona perfettamente in questa produzione, la quale risulta dotata di una arguzia e di una salacità davvero fuori dal comune.
Di ottimo livello anche l’aspetto musicale e vocale
Raffinata e mai scontata la lettura che Alessandro Bonato dà della partitura rossiniana. Il dettato è leggero, ma al contempo ricco di dinamiche (vedasi a questo proposito alcuni splendidi passaggi nella Sinfonia iniziale), il nitore di suono pregevole, i tempi piacevolmente distesi e sempre congeniali ad un buon rapporto con il palcoscenico.
Alessandro Luongo è un esilarante Figaro dalla voce morbida e ben proiettata, sicuro nel fraseggio e scenicamente molto efficace. Ruzil Gatin tratteggia, dal canto suo, un Almaviva dal timbro chiaro e brillante, estremamente duttile e solido in tutti i registri. Grande intensità interpretativa, ottima pasta vocale, dotata tra l’altro di un bel colore scuro, la Rosina di Serena Malfi che palesa però qualche fissità in acuto.
Molto bene anche lo straordinario don Bartolo di Roberto De Candia, elegante, ma al contempo fortemente caratterizzato, perfetto nel fraseggio e controllatissimo nell'emissione, cui si affianca Andrea Concetti nei panni di un Basilio esilarante, di grande esperienza, dotato di un bel timbro brunito.
Rosanna Lo Greco ha sostituito all’ultimo minuto l’indisposta Fiammetta Tofoni eseguendo con garbo la sola aria di Berta in forma non scenica. Buona la prova del Coro, questa volta omogeneo e preciso negli attacchi.