Per il secondo appuntamento del progetto “Parole in Forma scenica” inserito all’interno del vasto programma di “Esperienze di Giovani a Teatro” è andato in scena al Fondamenta Nove in prima assoluta, davanti a un numerosissimo pubblico, Il buio era me stesso, tratto dal nuovo testo teatrale Caino, scritto ed interpretato dalla bravissima drammaturga e poetessa Mariangela Gualtieri.
Non si tratta di uno spettacolo come gli altri, ed il pubblico ne è avvertito: è un rito sonoro.
L’intento è temerario e forse non tutti sono effettivamente preparati per questa esperienza.
Mariangela Gualtieri scava nell’universale, cerca l’origine ed approda ad una figura biblica archetipa: Caino.
“Chi è Caino? Ci riguarda o è solo una favola dell’antichità?”.
Caino è il primo nato ed è il primo uomo che con le sue mani lavora il ferro; con quelle stesse mani uccide il fratello Abele, il primo morto.
Sullo sfondo della vicenda vengono evocate anche le presenze di due figure originarie del Bene e del Male: l’Angelo e Lucifero, entrambi forti, entrambi consigliano Caino, l’uno avvertendolo dell’esistenza del Male, l’altro tentandolo e spingendolo verso l’oscurità.
La struttura narrativa è regolare e ricorda quella delle tragedie antiche; inizialmente una sorta di voce maschile, registrata, fa da corifeo ed introduce la vicenda, poi l’attrice si intervalla in tre episodi con il coro che in un primo momento è formato da voci femminili e successivamente diventa puro suono.
Mariangela Gualtieri si presenta con una veste bianca; legato in vita un taccuino di appunti. La mano, a volte, trema leggermente, a differenza della voce ferma e decisa anche quando pronuncia terribili verità.
Man mano che il rito si compie si attuano anche dei cambiamenti: si trasformano lo spazio ed il tempo e la percezione di essi diviene ora dilatata ora ristretta; si trasformano i suoni, a volte più nitidi e precisi sotto forma di eventi atmosferici, altre volte più profondi e complicati da intuire; si trasforma, infine, anche il pubblico che è chiamato a partecipare a questa ritualità collettiva che, allo stesso tempo, viene pure percepita come esperienza personale intima e forte.
La scelta registica è attenta e precisa nell’utilizzo delle luci e dei silenzi tanto da riuscire a creare un’atmosfera sospesa, simile ad un limbo in cui parole e suoni si amalgamano o si confondono.
La figura di Caino e la sua storia attraverso i millenni sono state contaminate, eppure non c’è nulla di più semplice e vicino ad ognuno di noi; Caino vive in ogni umano, è la voce che parla nell’ombra notturna, è la parte che attrae e con cui si lotta costantemente. Nell’eterna lotta tra Bene e Male, tra amore e morte, solo precipitando nel più profondo degli abissi –cosa che sembra essere assai attuale- è possibile poi risalire, lottando, e guardare con occhi nuovi il mondo, finalmente usciti dalle tenebre, e assaporare i colori di un’alba inaspettata.
Moltissimi e meritatissimi applausi finali ci hanno “brutalmente” riportato alla realtà, nel teatro, all’atmosfera di spettacolo ma, forse, trattandosi di “rito”, un “sonoro” ma più intimo silenzio avrebbe potuto idealmente concludere la serata.