Torna dopo cinque anni al Sociale di Rovigo uno dei capolavori di Wolf-Ferrari, forse l’opera che lo caratterizza meglio, Il Campiello. Terz’ultima opera di Wolf-Ferrari, appare, per più di un aspetto, una sorta di testamento musicale e spirituale del compositore. Lascito che prende forma nel richiamo ai suoi maestri di sempre: Goldoni, Mozart, il Verdi di Falstaff e nell’omaggio a una civiltà culturale fuori del tempo e dello spazio, nella sua amata Venezia. L'opera, incentrata sulla vita di imprevedibili abitanti della città lagunare, fa uso del dialetto veneziano, tranne che per due personaggi, entrambi di origine napoletana. Rappresentata per la prima volta al Teatro La Scala di Milano l'11 febbraio 1936, conobbe subito un meritato successo. La vicenda è ambientata a metà del diciottesimo secolo e si svolge tutta in un piccolo campiello di Venezia.
Paolo Trevisi, regista dell'opera, per la terza volta a Rovigo per mettere in scena questa opera, ha scelto una scenografia tradizionale, realizzata dalla ditta Sormani-Cardaropoli che, nella stagione 1946/47, venne creata per la Fenice di Venezia. Si tratta di una scena semplice, bella, particolareggiata, che rappresenta e rispetta in modo minuzioso i valori e le volontà degli autori, senza nessun stravolgimento; anzi, la regia di Trevisi si evidenzia per un rispetto quasi maniacale del libretto e delle indicazioni del compositore. Il risultato è tutto fuorché scontato, monotono o polveroso. La vicenda – semplice in sé – si sviluppa attorno alla figura del napoletano Cavalier Astolfi, il tipico imbroglione spiantato dell’opera buffa settecentesca, e di un gruppo di donne veneziane durante una giornata di sole nel piccolo campiello veneziano, dove si incontrano e fanno chiasso, pettegolezzo, creano e disfano amori e vivono l’allegria della vita quotidiana. Ci sono naturalmente situazioni comiche create dai personaggi delle due anziane (“vecie” come dice il librettista) dona Cate e dona Pasqua piene ancora di ardori giovanili che a tutti i costi si vogliono rimaritare. Nell’opera i ruoli delle due comari sono affidate a tenori, creando quasi un unicum nella storia dell’opera e riuscendo a dare una connotazione particolarmente buffa ai personaggi. La regia risulta frizzante e briosa, gradevole e raffinata. I personaggi sono stati caratterizzati in modo adeguato e mai banale, l’umorismo che ne sorge è spontaneo, mai forzato; gli elementi buffi hanno contribuito a vitalizzare tutta l’opera, creando una perfetta sintonia tra la musica e i sentimenti dei vari interpreti.
Buono il cast, composto da cantanti che hanno saputo dare anche un’ottima interpretazione attoriale, oltre che a dimostrare di riuscire egregiamente a cantare in un perfetto dialetto veneziano. Hanno dominato la scena, per la loro comicità e la verve le due vecie, interpretate da Max Renè Cossotti (Dona Cate) e Gregory Bonfatti (Dona Pasqua). Cossotti, tra l’altro nello stesso ruolo interpretato sempre a Rovigo nel 2008, è un professionista di lunga data, specializzatosi nell’operetta, ma che non disdegna questi ruoli in cui può mettere in rilievo la sua congeniale frizzante vena comica. Molto valido il risultato nel complesso, anche se la comicità ha prevalso sulla riuscita del canto. Lo stesso si può dire per la buona riuscita di Gregory Bonfati, come attore e cantante.
Roberta Canzian è stata un’ottima Gasparina, riuscendo a rendere sia scenicamente che vocalmente il personaggio, anche con il difetto di pronunzia che Wolf-Ferrari le impone: la Canzian, ha una corretta voce da soprano lirico leggero che ben si addice a Gasparina e una piacevole musicalità, oltre che una buona freschezza di timbro. Molto valida la prova di Diana Mian nel ruolo di Lucieta con la sua voce corposa e precisa. Interpretazione corretta anche per Patrizia Cigna, una Gnese ingenua e fragile quel tanto che basta, resa con grande maestria (la Cigna possiede una misurata emissione vocale e un’altrettanto buona caratura dalla limpida intensità espressiva). Voce omogenea e ben controllata per l’Orsola interpretata da Cristina Sogmaister, soprano dotato di particolare rotondità e agilità. Il ruolo del Cavaliere Astolfi è stato accuratamente e con disinvoltura sostenuto da Maurizio Leoni, che con la sua voce espressiva di baritono brillante ha sostenuto pienamente la parte del nobile decaduto. Robusta ed impetuosa la voce di Giacomo Patti in Zorzeto, ruolo eseguito correttamente. Anche l’espressivo Italo Proferisce, in Anzoleto, ha dimostrato di essere nella parte e di possedere una vocalità più che discreta e pregevole. Sufficiente il Fabrizio de Ritorti di Gabriele Bolletta che deve assolutamente migliorare la sua recitazione.
Una direzione corretta, precisa e omogenea quella del maestro Stefano Romani alla guida dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, che ha saputo cogliere le sfumature più particolari della partitura di Wolf-Ferrari che si sono espresse particolarmente nell’Intermezzo.
Ottima realizzazione sia scenicamente che vocalmente e musicalmente, ottime scelte del Teatro di Rovigo, peccato che il buon prodotto non abbia trovato molta corrispondenza, visti i molti posti vuoti. Applauditissimi, meritatamente, tutti i cantanti e il maestro Romani.