Coltorti coglie con uno sguardo in tralice la contemporaneità di un testo considerato classico e polveroso e lo restituisce al suo pubblico in tutta la sua potenza.
Coltorti ha il pregio raro di proporre dei testi, tratti dalla letteratura, teatrale e non, la cui messinscena, sempre molto rispettosa, sembra “farsi da sé”. Anche nello spettacolo Il Gabbiano la sua regia è sempre al servizio del testo e del pubblico, non diventando mai la protagonista dell’allestimento.
Questo non vuol dire che non sia importante o efficace. Al contrario. Coltorti riesce sempre a condurre il suo pubblico al cuore del testo teatrale o del personaggio storico che ha deciso di portare a teatro.
Il Gabbiano secondo Coltorti
Coltorti riduce i quattro atti originali a una durata più maneggevole senza intaccare di una virgola il senso del dramma. I protagonisti sono un gruppo di personaggi, borghesi e non. In alcuni di loro c’è uno scarto tra i desideri e la vita vera, si tratti di amori non corrisposti (quello di Konstantin per la giovane Nina) o di vite non vissute come si voleva (come si lamenta Piotr, zio di Kostantin) o vissute senza grandi slanci (come quella di Masa che non potendo avere Kostantin, sposa un uomo che non ama). Altri (la madre di Kostantin e l’amante di lei) sono troppo egocentrici per potersi accorgere degli altri.
In queste vite insoddisfatte, tra giovani senza prospettive, anziani emarginati e adulti indifferenti ed egoisti, Coltorti crede bene di vedere la nostra contemporaneità e ci esorta nelle note di regia a non fare come i personaggi di Cechov, a non chiuderci cioè in un disastroso, anche se apparentemente salvifico“nostro mondo”.
La regia
Coltorti coglie con uno sguardo in tralice la contemporaneità di un testo considerato classico e polveroso e lo restituisce al suo pubblico in tutta la sua potenza, con una regia sostenuta da dei costumi di Rita Forzano, precisi e curati con piglio filologico. Anche il linguaggio del corpo degli e delle interpreti è in linea coi tempi, segno distintivo della cura con cui il regista dirige gli attori e le attrici di cui si circonda. Pietro Biondi è un magnifico Piotr, tutto rinchiuso nel rimpianto di una vita che avrebbe voluto ma non ha mai osato seguire.
Patrizia Bellucci sa passare con estremo equilibrio dall’algida severità della diva che mal sopporta le velleità artistiche del figlio alla fragilità con la quale apprende che il suo amante (un Marco Mete ingessato così come richiede il personaggio) si è invaghito di una ragazza molto più giovane.
Dolente e disperato Matteo Fasanella che interpreta “il figlio della diva” che si vede portar via l’amata Nina dall’amante della madre. Coltorti stavolta sceglie un ruolo minore, quello del dottore di famiglia, al quale regala una sottile ambiguità: uomo sensibile e comprensivo ma indifferente quando si tratta di riconoscere i propri affetti. Anche il resto della compagnia sa imporsi per la generosità con cui danno corpo a dei personaggi con un vissuto complesso, difficile da restituire.
Lo spazio scenico
Lo spazio, destinato a un pubblico esiguo di partecipanti, elimina la distinzione borghese tra platea e palcoscenico. Il pubblico è così immerso nella scena e si trova accanto ai personaggi che, nel caso del Gabbiano, sono dieci, spesso presenti tutti insieme. A differenza che nel teatro borghese dove la scenografia per quanto elaborata essendo posta su un palco risulta sempre fittizia, i pochi elementi scenografici presenti (delle sedie, due tavoli) proprio perché unici elementi di scena di uno spazio altrimenti spoglio hanno un effetto di realtà sorprendente ed elegante.
Un mezzanino e alcuni specchi amplificano la percezione rendendo unica l’esperienza di assistere a uno spettacolo tra le pareti di un salotto. Una caratteristica che Coltorti impiega preziosamente come quando fa provenire la musica da dietro una porta al di fuori dello spazio teatrale vero e proprio, o quando ci mostra il corpo esanime di Kostantin, con il disegno un marcato di cuore rosso sulla camicia candida.