La luna quasi piena splendeva sul cortile interno di Palazzo Pisani, a due passi dal Canal Grande; taceva il vento. Una serata climaticamente afosa ha accolto il debutto di un argomento ardente. Il gioco del vento e della luna è una nuova opera lirica ispirata a un romanzo erotico seicentesco, che narra con leggerezza di un'iniziazione amorosa. "Mi sono tanto divertito" ha affermato il compositore Luca Mosca con gli occhi luccicanti di un bimbo dinanzi a un giocattolo. Il suo "Gioco" di costruzioni di note si è rivelato tanto spassoso quanto colto. L'ispirazione ha compiuto circonvoluzioni attorno a Bernstein e decise virate verso Stravinskij per poi planare sulle potenzialità offerte dalla musica del Novecento, assoggettata a un orientalismo straniato dalla vis comica. La ricerca su forma, suono e timbrica ha portato Mosca a sviluppare una scrittura dalla spiccata personalità, di immediatezza ideativa ed espressiva. Un dettato frammentato in sonorità taglienti, in ritmiche pungenti; un susseguirsi di fotogrammi musicali che, come in una pellicola, hanno assunto compattezza nella sequenza, rivestendosi di fantasmagoria coloristica.
La partitura presentava difficoltà enormi. Il cast era composto da allievi del Conservatorio "Benedetto Marcello" giunti agli ultimi step formativi, chiamati a cimentarsi in asperità virtuosistiche e "rimpalli" melodici necessitanti di notevole perizia tecnica e certosina puntualità. Strumenti impiegati alla stregua di voci e voci come strumenti, spesso indirizzate alle "sporcature" per ironizzare sui caratteri dei personaggi. I giovani cantanti, con generosità artistica in questo ambiente più unica che rara, hanno accantonato le velleità personali per concentrarsi sulla sonorità d'assieme, con affiatamento e "spirito di corpo"; ben misurati nel bilanciamento volumetrico palco-buca dettato dal podio da Giovanni Mancuso, deciso nelle intenzioni quanto fluido nel gesto.
Fernanda de Araujo possiede temperamento vocale che, sommato al physique du role, le ha permesso di tratteggiare la bellissima Nobile Profumo moderna e presto emancipata. Il Chierico della Prima Veglia, suo consorte e mentore, era Paolo Ingrasciotta, dalle calde sfumature timbriche. Giulia Bolcato e Francesca Gerbasi, Mamma Liu e Mamma Ma, come Kallyopy Petrou e Miriana Pantelic, Perla senza Macchia e Gioiello senza Macchia, formavano coppie in brioso unisono. Xixi Gu, Indovino, e Francesco Basso, Servo, hanno vestito i rispettivi panni con toni macchiettistici, incarnando alla lettera il buffo trash dettato dalla regia. Altrettanto spiritosi e sinergici Hanna Choo, Asako Watanabe, Andrea Biscontin, Lin Zhiao. Il coro diretto da Francesco Erle si è distinto in interventi a tutti gli effetti protagonistici.
L'anima "cinematografica" di Mosca non avrebbe potuto trovare migliore contraltare che in un regista da sempre innamorato della "settima arte". L'allestimento di Francesco Bellotto ha fatto propria la giocosità di musica e libretto (di Pilar Garcia) e ha spinto l'ironia verso l'autoironia. L'Oriente ha preso in giro sé stesso "orientaleggiandosi", scherzando con i luoghi comuni attribuitigli dalla cultura occidentale nei B (anche C!) movie, con un sorriso sempre garbato. Sinceramente, si è percepito il "budget a costo zero", per quanto relegato in subordine dalla capacità di comunicare. Le controscene hanno arricchito la gestualità "a tempo", l'azione ha supportato visivamente la descrittività del pentagramma. Bellotto ha tradotto il forzato minimalismo in una rappresentazione del Teatro stesso, di quello strano mondo realisticamente onirico dove un paravento è il diorama della fantasia, dove le emozioni sono particelle di luce e dove, dimentichi del cielo, ci si innamora al sorgere di una luna di carta.