In prima nazionale, il Teatro Stabile di Catania ospita e produce “Il Giuramento, il nuovo lavoro di Claudio Fava: la rievocazione di un esemplare atto di coraggio individuale, elevato ad universale inno alla libertà di pensiero.
In modo significativo, il canto goliardico Gaudeamus igitur, prima nella veste originaria festosa, poi variato a lutto in chiave espressionistica, delimita la prima parte di questa drammaturgia: una narrazione stringata che, con “asciutta” sobrietà e tenendo sempre sulla corda, prospetta la porzione conclusiva di un’esistenza in grado di racchiudere in un gesto il suo significato.
È il 1931, il nono anno dall’avvento del fascismo, e il prof. Mario Carrara, anatomopatologo e antesignano della criminologia moderna, all’Università di Torino, si ostina a pungolare l’acume dei propri studenti contro ogni valutazione di comodo. In gioco non vi è soltanto la bontà dei referti autoptici o la ricerca di turno, quanto la stessa facoltà di pensiero e il suo libero esercizio, in un contesto che sembra aver smarrito ogni residua ragionevolezza.
A questo forse alludono le ridondanti maschere da universitari, complete di feluca e mantello, che, in apertura, dalla platea invadono il palco buio e spoglio, su cui campeggia la struttura di un teatro anatomico: un’irriducibile contrapposizione tra la pur dolorosa dissezione della verità e i sinistri travestimenti sotto cui si ammanta un potere torvo e proteiforme.
Mario Carrara: la “disobbedienza civile” di un uomo perbene
In effetti, piccole e grandi contraddizioni, nel grande teatro della vita, compongono l’esistenza di ciascuno: con gli interpreti - come in un ludico “giuoco delle parti”- tranquillamente disposti a sedere in disparte ai lati del proscenio, visibili al pubblico, se non impegnati nella pièce, oppure pronti ad abbandonare con humour il proprio personaggio, balzando sul lettino autoptico per divenire corpi da esaminare.
Ma le umane debolezze di cui è vittima lo stesso protagonista - ipocondria, indole melanconica- diventano inaccettabili menzogne, colpevoli collusioni, quando, fuori dal recinto domestico, esse implicano il silenzio dinanzi a palesi ingiustizie: la netta dicotomia tra vizi privati e pubbliche virtù, l’indifferenza rispetto al crimine e alla sopraffazione.
Istanze complesse dispiegate nel dramma per merito di un solido ensemble attoriale che si distingue nei momenti di più viva partecipazione e nella scansione cadenzata dei tempi, sempre sostenuto dalla prova convincente di David Coco nell’impegnativo ruolo del professor Carrara. A lui l’estrema scelta del “Not in my name”, il rifiuto come ultima espressione di dissenso rispetto all’obbligo, per tutti i docenti universitari, di prestare giuramento di fedeltà al fascismo.
L’arte del dubbio come paradigma di libertà
Mentre il determinismo lombrosiano viene manipolato a sostegno delle nascenti teorie sulla razza e la cultura si trasforma in uno strumento di classe a discapito dei più deboli, i sospetti sono seviziati e lasciati agonizzare in carcere. Un epilogo stridente come le note del pianoforte di Cettina Donato, autrice dell’elaborata partitura originale che accompagna i momenti salienti, disegnando un paesaggio sonoro in perfetta simbiosi con l’azione scenica.
Il fraseggio musicale si snoda così parallelo ad un testo che spicca per l’adamantina chiarezza con cui l’Autore riesce a sviluppare un’idea dominante senza cadere nella facile trappola della didascalia; a suscitare compartecipazione emotiva - come nel precedente successo de La pazza della porta accanto- tratteggiando la storia di un personaggio destinato a soccombere, isolato perché controcorrente.
Sul finire del 1931, il professor Mario Carrara, come altri undici coraggiosi, su una popolazione accademica di oltre 1.200 consenzienti, rifiuterà di prestare giuramento; si vedrà quindi costretto ad abbandonare cattedra e studenti - infine la vita; a perdere la libertà materiale, per mantenere quella superiore di pensiero, come recita l’appello ai posteri: «Imparerete a dubitare, anche di voi stessi…e nel dubbio scoprirete di essere liberi».