Danza
IL LAGO DEI CIGNI

Un romantico lago sloveno

Un romantico lago sloveno

Non molto conosciuto fuori dai confini patrii, il corpo di ballo stabile della SNG Opera in Balet Ljublijana è nondimeno uno dei più longevi d'Europa, dal momento che la sua costituzione risale alla fine del 1918; giusto all'indomani, cioè, della Prima Guerra Mondiale e della dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico, quando insomma si stava formando il primo nucleo di quella composita entità politica che diverrà il Regno Jugoslavo.
Elemento fondamentale del più importante ente lirico della Slovenia –  il Teatro Nazionale di Lubiana, realtà ultra centenaria essendo stata fondata nel 1892 – lo SNG Balet Ljublijana vanta un proprio centro di formazione ed il possesso di un vastissimo repertorio, alla cui formazione hanno collaborato numerosi coreografi, sovente anche stranieri. Ultimo impegno di indubbio interesse, l'importante collaborazione alla prima mondiale de Die Rheinnixen, l'opera di J. Offenbach a lungo considerata perduta, e che venne riproposta scenicamente a Lubiana nel 2004/05 con la regia di Manfred Schweigkofler (da noi la si è vista nel 2007, al Comunale di Bolzano).
Invitato dal Teatro Verdi, il balletto sloveno ha portato sulla maggiore scena triestina una delle sue più fortunate produzioni, Il lago dei cigni di Čaikovskij – il balletto per antonomasia, nell'immaginario collettivo – proposto nella lettura coreografica rimontata dall'americana Lynne Charles sulla traccia storica delle memorabili creazioni di Lev Ivanov per i cosiddetti “atti bianchi” (cioè per il primo e quarto atto) e di Marius Petipa per il primo e terzo atto. Da questo punto di vista, quindi, nessuna novità di rilievo, salvo il fatto che si è scelto il finale modificato nel 1953 da Vladimir Bourmeister, per adeguarsi all'imperante filosofia sovietica: nell'intento di “portare la danza al popolo”, e dare un senso positivistico alla risoluzione del dramma, dopo un furioso combattimento Siegfried sconfigge il mago Rothbart, Odette riprende le sue sembianze umane e fuggendo con l'amato corona il suo sogno d’amore. Un «happy end» un tantino stucchevole e decisamente retrò, se vogliamo, ma adottato con una certa frequenza, come nel 2013 al Teatro alla Scala nella ripresa della versione di Bourmeister a cura di Florence Clerc e Frédéric Olivieri.
Orbene: beneficiando di una compagine essenzialmente giovane, ricca di talenti, molto fluida e ben affiatata (e senza l'ingombro di qualche membro un po agé e magari fuori tempo e affannato per la fatica, come capita in talune formazioni nostrane), il Balletto di Lubiana ha donato al pubblico del Verdi un'esecuzione molto corretta e piacevole del capolavoro di Čaikovskij, con adeguata precisione di movimenti nei momenti d'insieme - qualche fastidiosa inesattezza s'è vista però nel “Pas de quatres” - e con intensa passione interpretativa, che ha infuso calore e passione all'insieme. Straordinaria la performance di Laura Hidalgo nelle vesti di un'Odette intrisa di spontanea bellezza, che nel suo incedere non fa trapelare le difficoltà tecniche del ruolo; encomiabili pure il cubano Harold Quintero nei panni di Siegfried – un principe intenso e volitivo, con bella purezza nei movimenti - ed il giapponese Yuki Seki, talentuoso interprete del mago Rothbart. La nostra Rita Pollacchi s'è mostrata un'Odile accurata nel movimento e colma di pathos; il Re e la Regina erano il bravo Lukas Zuschkag e l'elegante Regina Križaj. Graziosi ed efficaci i costumi di Uroš Belantic,  tradizionali nel disegno e all'occorrenza ricchi di colore; le scene di Vadim Fiškin e Miran Mohar consistevano essenzialmente in grandi retroproiezioni di verdi cascate (atto primo), di placide acque lacustri (i due atti bianchi) e di uno scarlatto paramento damascato (la sala da ballo), con un'apoteosi di decine di rutilanti lampadari di Boemia. Poca cosa, in verità, soprattutto scorrendo gli eclatanti curricula dei due artisti inseriti nel libretto di sala.

Ultima ma non meno importante, la direzione del giovane maestro sloveno Živa Ploj Peršuh – abbiamo ritrovato sul podio una donna, una volta tanto – ha comportato un'esecuzione ricercata e intrisa di squisita sensibilità, sempre ricca di tinte e di sfumature. Non poco ha contato, in questo, l'avere a disposizione un'orchestra – quella del Verdi – che ha saputo donare il meglio di sé, con sezioni d'archi duttili e morbide, e fiati ineccepibili e calibratissimi.

Notevole successo di pubblico, con lunghi applausi ai quattro solisti e soprattutto alla bravissima Laura Hidalgo.

Visto il 09-05-2015
al Verdi di Trieste (TS)