Ne “Il Maestro e Margherita” Michele Riondino compie una prova d’attore di razza superata a pieni voti. Ottimi i lavori della drammaturga Letizia Russo, autrice della riscrittura e del regista Andrea Baracco.
Uno dei capolavori della letteratura russa del Novecento, questo rappresenta il romanzo di Michail Bulgakov. Oltre trecento pagine di fine tessitura scritte e riscritte più volte in un arco di tempo che va dal 1928 al 1940. Tre piani di azione, tre vicende, tre squarci spazio temporali delineati con suprema cura. Forse un’impresa mettere in scena tutto questo.
Con lo spettacolo Il Maestro e Margherita ci hanno provato con ottimi risultati la drammaturga Letizia Russo, autrice della riscrittura e il regista Andrea Baracco, in un adattamento prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria.
In una fumosa e cupa Mosca il diavolo in persona, sotto le mentite spoglie di Woland (Michele Riondino), mette a segno un piano per intervenire nella relazione tra il Maestro (Francesco Bonomo), sfortunato scrittore finito in manicomio e Margherita (Federica Rossellini), giovane e nobile ragazza consumata dall’amore. L’arte della letteratura è il fuoco del mirino che dipinge la vicenda raccontata nel romanzo dello scrittore, una delle più antiche storie dell’umanità, quella del processo di Gesù da parte di Ponzio Pilato, qui alle prese con la sua intricata coscienza.
«Liberati dal maligno gli uomini sono rimasti maligni»
I diversi piani si intrecciano efficacemente nello spettacolo, grazie soprattutto all’indiscussa bravura di un cast composto da undici attori che si scambiano le identità, la pelle, le sembianze, forse anche l’anima. Perché si sa, quando il diavolo ti accarezza, vuole proprio l’anima. Peccato però che il diavolo immaginato da Baracco e incarnato da Riondino sia più affascinante che inquietante, nonostante la zoppia che lo costringe ad arrancare (quasi sempre) con l’aiuto di un bastone, austero ma anche divertente con un ghigno quasi musicale che accompagna gran parte delle sue azioni.
Cerone sul volto e labbra rosso fuoco fanno di lui una sorta di clown, diciamo pure un Joker che si diverte a incrociare destini, modificarne altri, giocando con un’umanità che si dimostra sciatta e priva di grande intelligenza. «Liberati dal maligno gli uomini sono rimasti maligni» presa in prestito al Faust di Goethe è una delle frasi, forse la più emblematica, che vengono scritte sulle pareti scure che attorniano il palco, facendone un sistema chiuso in cui claustrofobicamente la vicenda si sussegue. È impossibile uscirne, è impossibile prendere respiro, le presenze aleatorie e reali si impossessano dello spazio attraverso aperture e chiusure che nascono dalle stesse macabre pareti piene di scritte.
Il fascino del grottesco
Efficaci, simbolicamente e visivamente, le trovate registiche che permettono allo spettatore di essere trainato da un piano all’altro dell’azione, forse più nel primo atto che nel secondo. Ne Il Maestro e Margherita Michele Riondino compie una prova d’attore di razza superata a pieni voti, Federica Rossellini dona alla sua Margherita forte umanità e libertà forse in alcuni tratti un po’ troppo esasperata, ma è soprattutto il trio degli aiutanti mefistofelici composto da Alessandro Pezzali, Giordano Agrusta e Carolina Ballucani che attornia di magia e mistero il dramma.
Se il diavolo perde la sua aurea maligna e diventa un’affascinante uomo dai modi eleganti e dal ghigno contagioso di cui forse abbiamo addirittura bisogno, qualcosa forse è cambiato (in senso positivo oppure no non sta a noi dirlo).