Prosa
IL MALLOPPO

Il Malloppo, humor nero in salsa british che anticipa il '68.

Il malloppo
Il malloppo

Il malloppo, di Joe Orton: una perfetta commedia dark, distillato di un umorismo macabro che è tipicamente british. Questo particolare meccanismo comico, oltre che di chiara matrice anglosassone, è soprattutto nelle loro corde interpretative: è complicato per gli altri sintonizzarsi su queste frequenze in modo credibile. Il rischio di passare dal comico al ridicolo è concreto. 

Ma la regia di Francesco Saponaro è efficace: il meccanismo comico-drammatico funziona egregiamente, si ride a scena aperta più volte. Come da format, anche nel Malloppo si inizia piano. Ci sono un morto normale, un’infermiera normale, un normale marito affranto per la fresca perdita della moglie. Ma l’iperbole comica, surreale e straniante è in agguato dietro l’angolo.


L’infermiera Fay ha praticamente già la valigia in mano, a cadavere ancora caldo. Il vedovo McLeavy le chiede se può fermarsi qualche ora in più, almeno fino a dopo il funerale, ma l’infermiera è irremovibile... o forse no. Che abbia deciso di passare dal ruolo di dipendente a quello di consorte?

La morta gira come una trottola

Da lì in poi, è una rincorsa al parossismo. Tutto è esagerato, e la morta gira come una trottola. C’è un poliziotto deduttivo in modo soprannaturale, cui però sfuggono diverse cose che vedono tutti. C’è un figlio indifferente alla morte della madre;  c’è un addetto delle pompe funebri vestito come un teddy-boy, che invece delle bare potrebbe agevolmente portare delle pizze; c’è una donna che fonde in una sola persona l’infermiera in ciabatte e la dark-lady; c’è un vedovo spaesato dalla fresca perdita, che appare l’unico normale: e che proprio per questa sua normalità alla fine sarà punito.

 

Massironi, da infermiera in ciabatte a dark-lady

Massironi è la protagonista, come da copione: ma si prende il palcoscenico anche più del ruolo.  Dà vita a un personaggio memorabile: una milf sexy, capace di passare in un lampo dalla mise ciabattesca dell’infermiera a fine turno al look nero seducente del finto-lutto. Una serial killer con manie religiose che però non appaiono in contrasto con l’attività principale: che è appunto quella di far fuori gli uomini. 

Perché lo fa? Missione divina di cui si è autoinvestita? Soldi? Comodità, per non gestire i mariti? O tutte le cose insieme? Franzoni è un ottimo McLeavy, in perenne ritardo sullo svolgimento degli eventi: in ritardo rispetto agli altri, che sono tutti perfettamente sincronizzati sull’iperbole. 


Gianfelice Imparato, peraltro attore eccellente, forse qui non è nel ruolo più confacente alle sue caratteristiche, a cominciare dal fisico e dall’età. Ma è anche vero che compensa con il mestiere. Forse, nella cifra paradossale dell’insieme, ci sta che ad impersonare il poliziotto cattivo ci sia uno che all’aspetto sembrerebbe un nonno con i nipotini. In ogni caso anche Imparato è perfettamente inserito nell’insieme della commedia, che resta in equilibrio mentre corre sempre più veloce verso il finale a sorpresa.

Joe Orton, anarchico che anticipa il '68

Joe Orton mette in un calderone tutto: una critica feroce alla società perbenista degli anni 50/60, alla religione e soprattutto ai suoi conformismi, al mito di progresso e crescita. Le rapine e gli omicidi in serie si possono accettare. 


Il business legittimo è la gestione di una casa di appuntamenti; ad un certo punto si parla di rapporti con bambine: però è vietatissimo mostrarsi nudi in pubblico, e anche la morta va vestita. Joe Orton si rivela un anarchico che anticipa i temi del '68: con uno smaccato e all’epoca ancora quasi inedito scontro generazionale. L’armadio al centro della scena, non è un mobile ma un  protagonista: quanti scheletri nell’armadio aveva la gente nell’armadio? E siamo sicuri che non li abbia ancora oggi?

Visto il 31-01-2025
al Gustavo Modena di Genova (GE)