"Apprendistato della morte". Così lo stesso Ionesco definisce Il re muore. Considerato uno dei capolavori della letteratura drammatica moderna, lo spettacolo affronta il tema inquietante e ineluttabile della mortalità umana. L’evento che è inevitabile, il destino che accomuna tutti, perfino i re.
Il testo è stato scritto dal drammaturgo subito dopo una grave operazione chirurgica e non potrebbe essere diversamente. Solo così, infatti, si spiega la lucida e cinica rappresentazione del decesso.
Un modo per esorcizzare la paura, scacciare i pensieri più cupi, racchiudendoli dentro un vaso di Pandora teatrale. L’arma del palcoscenico trasforma la situazione da tragica in comica.
Si assiste all'evoluzione accelerata della vecchiaia dell'uomo e qual che ne consegue: impotenza, delirio, rabbia, rancore. I sentimenti sono i veri padroni dello spettacolo, capaci di squadernare la verità orribile e drammatica della caducità umana.
Re Berénger non vorrebbe ammettere la propria agonia e cerca di ribellarsi, non solo contro la propria fine, ma anche contro se stesso. La rifelssione tardiva sulla propria condizione lo porta alll'accettazione, l'unica arma che in suo possesso per sconfiggere la morte. Alla fine, il mondo – la scena – scompare nello stesso momento in cui il Re cessa di vivere.
Il rapporto tra le due moglie, donne e amanti legate al sovrano è conflittuale. L'una, la prima moglie Margarite è più saggia e sarcastica. L'atra fragile e giovane cerca di contrapporsi come può al dramma che sta vivendo.
La scenografia è costruita come una piramide convessa, dove anche gli attori fanno parte di un trompe d'oil. L'occhio si perde tra i grigi e troni, finestre si stagliano nella superficie convessa.
Il regista Pietro Carriglio ha scelto il testo come metafora del teatro, scenario privilegiato per raccontare la crisi della modernità, innestata sulle macerie del teatro beckettiano.
Milano, Piccolo Teatro Studio 21 maggio 2008
Visto il
al
Bellini
di Palermo
(PA)