Capolavoro assoluto della musica barocca, Il trionfo del tempo e del disinganno fu composto da Händel nel 1707, quando il suo autore aveva solo ventidue anni. Il libretto, opera di Benedetto Pamphilj, protettore del giovane musicista del quale il suddetto cardinale subiva fortemente il fascino, assume i tratti di una disputa morale che ha come protagonisti allegorici Bellezza, Piacere, Tempo, Disinganno, una disputa durante la quale gli ultimi due personaggi convincono la prima ad abbandonare le piacevolezze terrene per dedicarsi ai beni supremi. Proprio in quegli anni nella Roma papalina un decreto pontificio aveva vietato le rappresentazioni operistiche e, di conseguenza, in questo contesto Händel non poté che dedicarsi alla realizzazione di una cantata morale che avesse le caratteristiche di un oratorio, composto da ventiquattro arie, alcuni numeri d'insieme e recitativi ridotti all'osso, adattabile a molteplici contesti. Il risultato è quello di un capolavoro struggente, permeato di una sottile vena malinconica e, a tratti, di una dirompente sensualità.
La scelta registica di Jürgen Flimm e Gudrun Hartmann per questa produzione della Operhaus di Zurigo e della Staatsoper di Berlino è stata quella di ambientare la disputa all'interno di un enorme bar-ristorante parigino sul modello de La Coupole, aperto a Montparnasse nel 1927, che annoverava fra i suoi avventori i parigini più illustri dell'epoca e alcuni fra gli intellettuali più in vista d'Europa, un luogo in cui si respirava un'atmosfera elettrizzante e dove la gente ambiva a entrare per guardare e farsi ammirare. La ragione profonda di una simile ambientazione risiede nel fatto che siffatti ambienti, oltre ad avere in sé un evidente richiamo alla vanità, offrono ai loro frequentatori occasioni di discussione, soprattutto a tarda ora quando tutti diventano più pensierosi e declinano verso la malinconia. L'immaginifico händeliano non viene comunque ripreso letteralmente sulla scena ma, attraverso suggestioni di vario tipo, viene lasciato lo spazio alla mente dello spettatore per viaggiare liberamente.
Spettacolari le scene vagamente art déco, realizzate da Erich Wonder, che ci presentano una grande sala ricca di specchi e dalle pareti dorate decorate a mosaico con un enorme bancone, tavoli apparecchiati, camerieri impettiti con indosso lunghi grembiuli bianchi e avventori di ogni tipo che si alternano all'interno del bar, tra i quali pullulano le ricche signore in lussuosi abiti anni Trenta, ma compaiono anche alcuni marinaretti, una sposa, un gruppo di giovani goliardi post sessantottini, delle suore e persino un angelo con tanto di ali bianche piumate. A movimentare la scena, dalla porta di ingresso a tratti entrano folate di freddo e neve che agghiacciano momentaneamente chi sta bevendo o pranzando. Preziosissimi i costumi di Florence von Gerkan che spaziano alternativamente fra XX e il XVIII secolo.
Con questo allestimento il Teatro alla Scala dà il via al suo nuovo progetto di creare un ensemble orchestrale dedito all'esecuzione del repertorio barocco attraverso l'utilizzo di strumenti originali, così da poter presentare ogni anno in cartellone un titolo specifico. La direzione, affidata a Diego Fasolis, ha saputo ben evidenziare tutti i preziosismi di una partitura straordinaria, la languida dolcezza dei momenti intimistici, così come la fiera concitazione di quelli maggiormente carichi di angoscia, facendo emergere chiaramente quella velata, ma permeante, sensualità di cui sono portavoce soprattutto i fiati.
Martina Jankova è un'avvenente Bellezza che, da iniziale femme fatale biondo platino, sul finale prende i voti monastici prostrandosi a terra, quasi a sottomettersi alla volontà del Cielo; la voce è misurata e cristallina, particolarmente intensa l'interpretazione dell'aria di chiusura Tu del Ciel ministro eletto che sull'ultima nota sfuma quasi in un sussurro. Lucia Cirillo veste i panni di un Piacere scenicamente volitivo e sicuro di sé, ma che vocalmente, nonostante una prova complessiva più che adeguata, avrebbe forse necessitato di un po' di colore in aggiunta. Bravissima Sara Mingardo a tratteggiare un Disinganno elegante, distaccato, forte della certezza di avere in mano la vittoria finale: il fraseggio è di gran classe, l'emissione controllatissima, la partecipazione intensa. Un poco scialbo, seppur generalmente corretto, il Tempo di Leonardo Cortellazzi, perfettibili in alcuni momenti le agilità.