Lirica
IL TROVATORE

Un trovatore nelle terre verdiane

Un trovatore nelle terre verdiane

Il trovatore, melodramma a tinte forti che più di altri si presta a eccessi vocali ed interpretativi, amato e bistrattato, costituisce un temibile banco di prova per i cantanti, soprattutto a Parma.
Il festival Verdi quest’anno lo presenta in forma di concerto con un cast di giovani artisti cresciuti nell’ambito del progetto “A scuola di tradizione al teatro Regio di Parma”, destinato a teatri “minori” (il teatro Verdi di Busseto ed il Magnani di Fidenza), ma di notevole fascino architettonico e verdiana memoria.
Le prime nebbie contribuiscono a creare un’atmosfera ovattata e un po’ fuori dal tempo nel piccolo borgo della bassa padana dove ancora aleggia il ricordo di Giuseppe Verdi. Il minuscolo palcoscenico del teatrino-gioiello ospitato all’interno della Rocca crea una cornice intima che predispone l’ascoltatore a un ascolto benevolo di cantanti emozionati e poco avvezzi a calcare la scena con lo spartito in mano.

Tre dei ruoli principali sono affidati a cantanti di origine asiatica, tutti peraltro dall’eccellente dizione, ma la rivelazione della serata è stata  la Leonora di Yu Guangun, dalla voce piena e dal canto ben modulato senza cesure. Non disponendo di una voce drammatica, risolve con buona tecnica il personaggio sul versante lirico, consentendo alla voce di espandersi con naturalezza senza temere le lunghe arcate della tessitura. Una Leonora dolce ed elegiaca che lascia ben sperare.
Ji Myung Hoo ha voce ben timbrata, ma l’impegnativo  ruolo di Manrico richiede altra maturità tecnica ed interpretativa. Dopo un “Deserto sulla terra” dal legato piuttosto incerto e un “Mal reggendo” un po’ scolastico, la voce trova maggiori sfumature in “Ah si ben mio” e risolve con giusta incisività la temibile “Pira”. L’Azucena della italo-americana  Nicole Piccolomini ha buon impatto drammatico e si percepisce una forte immedesimazione nel ruolo, ma in sede di concerto ne emergono i limiti di intonazione e la materia vocale, se pur interessante, viene penalizzata da una linea di canto non sempre omogenea. Hayato Kamie è un Conte di Luna eccellente per musicalità e gusto interpretativo, la voce è di timbro gradevole e si percepisce la ricerca di sfumare la frase cercando un canto sulla parola; il duetto con Leonora nel quarto atto ne mette in rilievo la capacità di accento e fraseggio. George Andguladze è un Ferrando solido  e dona particolare autorevolezza e spessore a un personaggio ritenuto spesso marginale ma determinante per lo svolgimento della vicenda. Corretta l’Ines di Tania Bussi come pure il Ruiz di Norbert Nagy. Completano il cast Riccardo Certi (un vecchio zingaro) ed Eugenio Masino (un messo).

Nonostante la giovane età,  Michele Mariotti ha un’impronta direttoriale forte e ben definita e in questa occasione svolge anche la funzione di tutor nel guidare passo dopo passo i cantanti alla scoperta della vocalità verdiana, aiutandoli a sottolineare la parola scenica e a utilizzare la voce in funzione drammatica. Il gesto fluido e quasi danzante si traduce in sonorità morbide e leggere che fanno emergere tutte le dinamiche e i chiaroscuri della partitura, adeguando l’amalgama orchestrale alle caratteristiche delle voci  senza coprirle.
Ancora una volta un plauso al coro del Regio preparato da Martino Faggiani per precisione e varietà d’accento, compatto e duttile nel coro dei gitani, di un misticismo ovattato nel lento salmodiare del Miserere.

Un pubblico composto per buona parte da stranieri, come si conviene a un festival, ha tributato sentiti e calorosi applausi a tutti gli interpreti.

Visto il
al G. Verdi di Busseto (PR)