Son passati quasi vent'anni da quando Il viaggio a Reims ci accompagna sulle scene del Rossini Opera Festival di Pesaro nell'allestimento scenico di Emilio Sagi e con i costumi di Pepa Ojanguren. Divenendo, anno dopo anno, un perfetto banco di prova, una ottimo essai final per le giovani voci che vengono a perfezionarsi ogni estate a Pesaro, presso l'Accademia intitolata ad Alberto Zedda.
Gli anni passano, ma la scenografia resta un esempio di geniale semplicità, e la vertiginosa, ironica ed umorale regia dell'artista spagnolo – ripresa da Matteo Anselmi - continua a divertirci, senza che passi di moda; ci addolora però che Pepa Ojanguren dall'agosto scorso non sia più fra noi, stroncata da un male inesorabile.
Un'opera riuscita, e rientrata in repertorio
E pensare che ben pochi avrebbero scommesso sul fatto che, dopo essere stata ricostruito con passione filologica, e dopo la clamorosa ricomparsa sulle scene nel 1984 qui a Pesaro (e l'anno seguente a Milano, sempre con Abbado sul podio e la regia di Ronconi) Il viaggio a Reims sarebbe rientrato stabilmente in repertorio.
Eppure è andata così, avvicinandosi tutt'oggi al centinaio di produzioni diverse – e credo siamo alle soglie delle mille rappresentazioni – realizzate ovunque in mezzo mondo. E forse sarebbero ancor più, se per eseguire quest'opera non servisse niente meno che una decina di cantanti dalle cospicue qualità virtuosistiche, in grado di ripetere l'exploit dei divi del belcanto radunati nel giugno 1825 per festeggiare l'incoronazione di Carlo X°. Regno di vita assai breve, peraltro...
Due recite, qualche cambiamento nel cast
Due le recite, il 26 e 28 novembre, con l'Orchestra del ROF ad occupare la platea del Teatro Rossini. Disponibili entrambe in live streaming gratuito su due piattaforme: quella del ROF oppure quella di ItaliaFestival.tv. A dipanare la matassa intricata di una delle partiture più libere e variegate del Pesarese, c'è il giovane direttore Alessandro Cadario.
Non prende sottogamba una partitura solo apparentemente 'facile', ma in realtà piena di insidie; e sa assecondare bene la vitalissima macchina teatrale messa in moto da Rossini e dal librettista Balocchi. Segue al meglio il turbinoso lavoro del palcoscenico, sa ricondurre la varietà dei pezzi ad una visione unica e coerente, e dulcis in fundo ci dona uno strumentale trasparente, bella vivacità ritmica, una concertazione tutta screziata d'arguzia ed ironia.
Allievi di ieri, allievi di oggi
In questo lavoro, l'importante è che gli interpreti sappiano giocare e divertirsi, cantando però come Dio comanda. Diremmo che è andata più che bene. Il cartellone riporta una compagnia che fonde studenti dell’ultima Accademia 2020 ed alcuni suoi ex-allievi.
Troviamo figure già lanciate in piena carriera, come Francisco Brito (Belfiore), ormai apprezzato in molti teatri, che intreccia con maliziosa grazia il duetto “Nel suo divin sembiante” insieme al soprano Lara Lagni (Corinna), incantevole in fine d'opera nell'omaggio reale “All'ombra amena”. Ormai avviati sono anche il tenore Matteo Roma che impersona Libenskof, il basso baritono Lorenzo Grante (Trombonok), il baritono Alberto Bonifazio (Don Alvaro), il mezzosoprano Marta Pluda (Maddalena).
Quanto agli altri interpreti, avendo visto la prima recita abbiamo apprezzato il mezzosoprano Nutsa Zakaide (Marchesa Melibea) mentre civetta con il bravissimo Matteo Roma spandendo fresca tenerezza nel duetto “D'alma celeste”. Il basso Gianni Giuga scioglie con eleganza e buona indole comica l'aria di Don Profondo “Medaglie incomparabili”; Patricia Calvache è la Contessa Folleville; Michela Guarrera, Madama Cortese; Nicola Ciancio, Lord Sydney; Alan Starivoitov, Don Prudenzio.
E poi ci sono gli altri, in un garbato gioco di squadra: Cristian Collia impersona Don Luigino/Zefirino/Gelsomino; Ekaterina Sidorenko è Delia; Sophia Ernzkyan, Modestina; Stefano Marchisio, Antonio.